Reportage: ferrovie, funerali italiani e suites francesi nel viaggio tra Alta e Bassa Velocità

Pubblicato il 10 Febbraio 2010 - 10:03| Aggiornato il 12 Febbraio 2010 OLTRE 6 MESI FA

L’hanno inaugurato quattro volte il famoso tunnel del Terzo Valico, nell’Appennino ligure piemontese, tra i paesini di Voltaggio e Prati di Gavi, così l’ultima volta, pochi giorni fa, qualche spiritoso, durante la oceanica cerimonia con i due ministri berlusconiani, Altero Matteoli dei Trasporti e Claudio Scajola dello Sviluppo Economico, si è fatto la battuta: “Quattro matrimoni e un funerale”. Allusione al famoso film inglese con il sex symbol inglese Hugh Grant e al fatto che quel Valico lo inaugurano, lo inaugurano e alla fine non parte mai: invece di farlo decollare, gli celebrano il funerale.

E così, mentre si inaugura in pompa magna il cantiere di quella Alta Velocità, che una volta si chiamava anche Alta Capacità, e il sogno dei treni veloci in Italia si restringe all’asse Milano-Torino-Roma-Napoli e tutto il resto ciccia, il collegamento più importante in Europa, lungo il famoso corridoio 5, Genova-Rotterdam, il più avanzato nelle realizzazioni europee (fatta salva la parte italiana), si pianta davanti a una galleria appena disegnata nella montagna appenninica. Una galleria che avevano incominciato a progettare nel 1903, chiamandola Direttissima.

Alla quarta inaugurazione, pomposamente allestita in un grande spazio ferroviario dismesso nella periferia post industriale genovese, il ministro Scajola ha lanciato l’allarme sui ritardi, magari immaginando, senza confessarlo, anche lui il funerale per quella tratta da 54 chilometri, di cui trentadue in galleria, tra Liguria e Piemonte, costo cinque milioni di euro, stanziati, 500 mila, potenzialmente capaci di sturare l’asfissiato porto genovese, che se non ci fosse un calo del 22 per cento nei traffici, sarebbe già collassato di containers vecchi e nuovi, pieni e vuoti di merce, magari posati sui davanzali dei palazzi in quella decadente città di Genova, una volta Superba proprio per il via vai dei suoi bastimenti.

“Almeno acceleriamo il raddoppio della ferrovia che ci fa raggiungere la Francia attraverso Ventimiglia”, ha quasi invocato il ministro, che, coincidenza non certo casuale, è di Imperia.

Parole sante, ma forse intenzioni ancora più difficili da tradurre in linee ferroviarie veloci, sopratutto in parallelo alla grandeur francese ai suoi TGV, alla lettera della traduzione, treni a Grand Vitesse o Tgv, Prenez le temp d’aller vite, oramai quasi cinquecento convogli della Sncf, la società nazionale delle ferrovie che possiede il logo e che ha accorciato la Francia dal settembre del 1981 (primo viaggio Parigi Lione in Tgv) con treni missili.

Oggi sono per l’esattezza 461, sfrecciano in quattro categorie e sono una rete che collega la Francia da Sud Est alle Alpi al Mediterraneo, all’Atlantico, al Nord, all’Est e, ovviamente, a tutti i paesi confinanti dell’Europa. Tra questi, ovviamente, c’è anche l’Italia. Che è la sorella povera nei collegamenti, come Scajola fa capire, ma non dice.

Basta provare la differenza e tentare un viaggio che magari sbuchi proprio su quella frontiera italo-francese di Ventimiglia che il potente, ma in questo caso anche lui impotente, ministro ligure vorrebbe bucare, per sturare la sua Regione e magari anche il sistema dei porti liguri, i cui container in partenza e in arrivo “caricano” l’autostrada Nizza-Ventimiglia-Genova, tanto per fare un esempio, di quasi cinquemila autocarri, tir, motrici, al giorno.

Vedere per credere e contare, magari, i profitti boom della società che gestisce l’Autofiori (proprietà Gruppo Gavio e banca Carige) con fatturati in crescita esponenziale e guadagni tanto clamorosi da poter permettere in prospettiva perfino raddoppi e triplicazioni dei percorsi stradali, se non la costruzione della linea ferroviaria, che, però, stroncherebbe il boom dei ticket autostradali.

Per provare e per credere basta programmare un viaggio dall’Italia alla Francia, che corra, appunto, sulla suite francese e misuri differenze ed efficienze.

Chi ha detto che l’Italia non è collegata, via Tgv con la Francia, che quello sparo di treno che raggiunge i 350 all’ora in viaggi di crociera e nelle pianure profonde intorno a Parigi ha perforato il muro dei 500 all’ora, manco fosse il treno giapponese o il nuovo siluro cinese Pechino-Shangay, che curva come un compasso con raggi di 1400 metri per non turbare il sonno o il riposo del passeggero, che mette in crisi quasi ogni collegamento aereo francese, primo di tutti il volo Parigi-Marsiglia (crollo di passeggeri), non colleghi le nostre capitali con Parigi e ombelico di tutti i Tgv nelle sue tante stazioni?

Aspetti il Tgv francese nella gelida stazione torinese di Porta Susa, appena resa sotterranea, tanto sotterranea che è quasi misteriosa e non ti ci orienti, non perxché sia vicino al cuore dell’occulto torinese ma semplicemente perché hanno fatto male la segnaletica, per cui se ci arrivi come in un’oasi nel deserto da Porta Nuova, poi ti perdi attraverso scale mobili e un dedalo di corridoi sotterranei, poveri di indicazioni e zeppe di passeggeri “sbandati”. Però poi il Tgv in arrivo per la Francia è puntuale come un orologio svizzero.

Arriva alle 17,23 con il suo muso affilato e il marchio di Artesia, la joint venture tra Sncf e Trenitalia, che gestisce i collegamenti da Parigi Gare de Lyon, Torino, Milano, Bologna, Roma, via Chambery e Modane.

Sali come su una metropolitana, al coperto, cercando un po’ a tentoni il numero della tua carrozza, ma come sali è un altro mondo. Il tuo posto è come in aereo, ma hai lo spazio bagagli adatto a un viaggio in treno e anche di più. Hai attacchi per computer e telefonini e hostess che possono servirti il pranzo al tuo posto, o, se preferisci, in una carrozza ristorante che non è parente lontana degli squallidi self service di Trenitalia.

Sei in Italia, ma il Tgv parte alle 17,25 spaccate con un fruscìo. Non c’è più il vecchio dondolio dei Tgv prima generazione, quelli anni Ottanta che viaggiavano già come spari, ma da cui scendevi spesso con un leggero senso di nausea. Con un lampo arrivi a Bardonecchia, poi a Modane, poi a Chambery e attraverso il cuore della Francia fino a Lione, come se sorvolassi la pianura, senza una scossa nel buio sigillato. Brevi annunci in tre lingue precedono gli stop nelle stazioni. Arrivi a Parigi alle 23,15, gare de Lyon, frenata morbida, taxi pronto a trecento metri dal marciapiede.

Hai viaggiato un po’ in Italia e il resto in Francia e la differenza tra l’avamposto della Stazione di Porta di Susa e la grande stazione francese è come tra una periferia postindustriale italiana e il cuore della Ville Lumière.

Ma questo è un altro discorso. La suite francese è sulla strada ferrata. Sui Tgv, che dal 1981 al 2010 hanno già trasportato due miliardi di passeggeri, da quando gli ingegneri francesi si erano messi in testa di copiare la famosa linea Shinkansen in Giappone, dove dal 1964 avevano inventato un nuovo modo di trasportare su rotaia e di andare oltre il limite di 250 chilometri all’ora, che era il limite sotto il quale Grande Vitesse era una bestemmia.

C’era voluto il superamento della crisi petrolifera del 1973 per capire che il futuro di quel treno, già chiamato Tgv, era elettrico e non a combustibile e per fare tutte le prove su una motrice dal nome non certo affascinante, la locomotiva Zebulon, diventata poi la cavia del successo.

Alle Gare de Lyon i Tgv sono come affilati siluri in agguato. Non sai da dove parte il tuo treno fino a quando in un grande display appeso e ripetuto in decine di esemplari sotto la grande volta belle epoque non ti comunicano che partirai dal quai B, non oltre venti minuti prima della partenza.

Vedi la lettera sul display e in quel momento il muso del TGV per Marsiglia appare in fondo al binario. Avrà ragione Scajola quando dice che bisogna velocizzare quella linea italiana di Ponente per agguantare questi siluri che corrono in Francia?

Si prova il percorso a rovescio. Dal cuore della Francia verso la frontiera italiana di Ponente. La direttrice è secca Parigi-Marsiglia-Nizza-Ventimiglia.

Ma c’è una variante: a Marsiglia bisogna cambiare. I Tgv sono collegati, ma diversi. La salita è molto più comoda che in Italia. Lavagne luminose ti indicano dove è la tua carrozza e dove, una volta che hai messo il piede sul predellino, devi cercare il tuo numero di posto che lampeggia. Sono le 16,20 e sai che Marsiglia è a tre ore esatte di distanza, senza soste e a tratti raggiungerai una velocità che supera i 400 all’ora.

E’ su quel territorio che tre anni fa il Tgv è arrivato a battere il record mondiale con 561 chilometri all’ora, con buona pace di cinesi e giapponesi.

Non capisci che la velocità è quella dal cuore della carrozza. Il tramonto invernale avvolge il Tgv in un buio dove brilla, nella pianura della Francia profonda, solo qualche chiazza di neve. Le curve sono percepite come una leggerissima rotazione che fa cambiare la prospettiva esterna, niente di più.

All’arrivo una piccola sorpresa che fa quasi sorridere: la dolce frenata sul binario della stazione Saint Charles di Marsiglia è mezzo minuto in ritardo, ma non mette a rischio la coincidenza con l’altro Tgv, quello per Nizza.

Ora siamo a due passi dalla mitica frontiera italiana, mentre il treno viaggia con qualche sosta prevista e annunciata lungo la Costa Azzurra, frenando e ripartendo a Tolone, Cannes, Saint Raphael, Antibes.

Stop di tre minuti, annunciati dallo speaker e rispettati rigorosamente. Il tempo di percorrenza è in media più lento che nel tratto da Parigi, ma siamo nel cuore della Cote, tra centri abitati e linee di costa, non nelle pianure aperte della discesa Nord-Sud.

A Nizza-Ville si arriva come a un capolinea, puntuali e in ordine, con la discesa di tutti i passeggeri. L’Italia è a uno sputo e la coincidenza sul binario parallelo a quello di discesa con un cartello chiaro che indica l’orario di partenza. Sono le 22,30 di sera e sferragliando il convoglio italiano arriva puntuale. Ma sembra di salire su un altro mondo.

Nessun posto riservato e riservabile, carrozze squiternate, piene di scritte all’interno e all’esterno. E’ uno di quei classici treni pendolari sporchi e o semivuoti o superaffollati. Questo è vuoto e parte con un cigolio assordante e senza annunci. Sferraglia verso l’Italia mentre un altoparlante annuncia perentorio. “Attenzione questo treno farà tutte le fermate fino a Ventimiglia”.

Sembra il contrappasso al viaggio precedente. In un vuoto e in silenzio siderale il treno si ferma, senza annunci se non quelli dei cigolii a Nice Riquier, VilleFranche Sur Mer, Beaulieu Sur Mer, mentre l’Italia si avvicina e non passa neppure un controllore, Cap D’Ail. Tutti luoghi paradisiaci nell’immaginaria della Costa Azzurra, ma deserti nella notte di frontiera che sta sprofondando verso l’Italia. Si arriva alla stazione di Monaco, Montecarlo, che dal binario sembra un labirinto sotterraneo senza anima viva.

Poi ecco Mentone, l’ultimo lembo francese e infine Ventimiglia, raggiunta alle 23,30, senza annunci.

Una stazione sideralmente vuota e italiana. Forse ci vorrebbe una lapide sul viaggio, perchè, finita la suite francese, sembra quasi che muoiano anche i binari.

Il prossimo treno per l’Italia, per Genova è domani mattina. Bisogna sbarcare, scendere dal treno vuoto, osservare un merci pieno di container che passa beffardo e rassegnarsi a uscire dalla stazione. Eccola l’Italia, ma il viaggio si deve fermare per forza. La porta d’Italia, quella che una volta si chiamava fiorita, è bella e chiusa. Un Tgv, con linea appropriata arriverebbe a Genova in un’ora con i ritmi della suite francese. Al passeggero italiano sventuratamente o volontariamente, come in questo caso, che ha fatto da cavia dopo le (temiamo scarsamente) profetiche parole del ministro Scajola, ci vogliono molte ore, compreso un pernottamento complicato nella città di confine. Qui non ci sono suite francesi, né grandi o piccoli alberghi per pellegrini o magnati di passaggio.

La Liguria ha un valico atteso dal 1903 e i cui lavori sono stati inaugurati per la quarta volte da due ministri e tutti gli stati maggiori ferroviari a Nord. Ma verso Est ha una frontiera che nella tarda serata si chiude come un muro contro il quale un Tgv si infrangerebbe, anche se la linea ferroviaria prevedesse di sopportarlo. Eri arrivato alla gare de Lyon in un film multivision e a colori e qui sei in una periferia abbandonata e buia. Certo non puoi paragonare Ventimiglia a Parigi, ma non sei a tre passi dalla tentacolare Montecarlo?

Quel binario sembra ancora, in molte tratte tra Genova e Ventimiglia, un po’ come quelle ferrovie del Far West, tratto unico, stazione rarefatte e magari qualche sceriffo che aspetta i passeggeri e il capo della ferrovia che non sa se c’è ancora una locanda aperta.