Il dolore di perdere un figlio e la “fila” per sapere se è morto

Pubblicato il 15 Marzo 2012 - 11:53 OLTRE 6 MESI FA

La scuola media delle vittime

SIERRE (SVIZZERA) – Sono le 21 e 15 di martedì a Sierre, nel cantone Vallese, in Svizzera, quando un pullman belga ha urtato violentemente la parete sinistra di una galleria autostradale, andandosi poi ad incastrare in un cunicolo di sicurezza. Perdono la vita 22 bambini, altri 24 bambini sono rimasti feriti, tre sono in coma con lesioni cerebrali e toraciche. Entrambi gli autisti del pullman sono morti nell’incidente. Nel pomeriggio di mercoledì un centinaio di genitori sono atterrati a Ginevra insieme al primo ministro Belga, Elio Di Rupo, e sono stati alloggiati in un grande albergo alle porte di Sion. Alcuni sono partiti senza sapere se il loro figlio fosse morto o vivo. Due dei tre ragazzini in coma, come alcuni dei morti, non sono stati ancora identificati. Anche se le salme hanno cominciato a fare ritorno in patria.

Ventidue “quasi” dodicenni che hanno perso la vita e come ricorda Paolo di Stefano per il Corriere della Sera, “la morte di un bimbo è talmente innaturale da lasciare orfani madri e padri”. Una donna bionda singhiozza senza lacrime, e ripete “sono qui, sono tutti qui”. Poi la portano via, abbracciandola. Ma forse ha ragione: in qualche modo sono rimasti davvero qui Elize e Sebastian, Evy e Vincent, Hendrick e Myrthe e tutti gli altri della “6A, la classe migliore del mondo”. 

“Della sciagura abbiamo saputo adesso, dopo ore”, dice uno dei genitori che salgono sugli autobus militari diretti all’aeroporto e poi in Svizzera. “Qualcuno dei nostri figli aveva un telefono cellulare e ha potuto chiamarci. Ma gli altri?”. Gli altri avrebbero meno di 12 anni e nessun documento di identità personale: per questo, sarebbe stato così difficile dar loro un nome.

“Cara mamma, papà e Jakob. È stupendo qui. Il cibo è molto buono. Con gli sci funziona tutto molto bene. Ma mi mancate”. I bambini rimasti uccisi nel viaggio di ritorno dalla settimana bianca curavano anche un diario online delle vacanze. Poco prima di partire per tornare a casa hanno pubblicato gli ultimi post. Una discesa con la slitta, le patatine fritte, la fiaccolata sulla neve e lo spettacolo messo in scena coi pupazzi Muppet. La gita volgeva al termine e le persone che accompagnavano la scolaresca avevano già comunicato ai genitori che mercoledì in mattinata sarebbero arrivati a casa.

“Ritorneremo tutti mercoledì (speriamo non troppo presto)”, aveva scritto lunedì uno degli accompagnatori che si trovano con i bambini. Poi la tragedia.

Un pullman che si schianta in un tunnel e 22 bambini non torneranno mai a casa, la prova più difficile per un genitore, sopravvivere a un figlio o a una figlia. La tragedia collettiva lascia senza parole. In queste situazioni spesso i primi a bussare alle porte dei papà e delle mamme, sprofondati anche loro in un tunnel, sono gli psicologi dell’emergenza.

Repubblica intervista anche Anna Rita Verardo, psicoterapeuta esperta di disturbi post traumatici. Ha lavorato varie volte con le persone coinvolte in esperienze traumatiche. Da poco ha assistito anche alcune delle vittime della Concordia. “Gli psicologi nelle prime fasi della tragedia sono utili per normalizzare e contenere le reazioni emotive delle persone che possono andare dal ‘congelamento’, alla rabbia, alla disperazione – spiega Verardo – In questi casi le manifestazioni di stress sono diffuse e normali. Nelle prime 24-72 le persone sono sotto shock, sembrano ‘congelate’. Gli psicologi hanno la funzione di stare accanto a loro, cercando di far capire loro che le reazioni emotive fanno parte della normalità”.