Malaria, giornalista di guerra: “A Milano volevano farmi aspettare, in Thailandia curato subito”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 6 Settembre 2017 - 15:55 OLTRE 6 MESI FA
Malaria, giornalista di guerra: "A Milano volevano farmi aspettare, in Thailandia curato subito"

Malaria, giornalista di guerra: “A Milano volevano farmi aspettare, in Thailandia curato subito”

ROMA – La febbre ciclica, prima altissima, poi in calo, la sudorazione abbondante, i tremori per il freddo, sono tutti sintomi che possono confondere i medici italiani, meno avvezzi dei colleghi nel sud-est asiatico o in Africa a valutare casi di infezione da malaria. A raccontare il paradosso vissuto sulla sua pelle è il giornalista di guerra Gian Micalessin, ammalatosi la prima volta di malaria nell’ottobre 1984. Come racconta su Il Giornale, era appena rientrato in Thailandia:

“Dopo una settimana di guerriglia cambogiana intorno alla città di Pailin. Una giunga da paura, così fitta da non lasciar passare la luce del sole, così infestata di zanzare da render inutile qualsiasi prevenzione antimalarica”.

Al suo ritorno a Bangkok ha sentito i primi segnali che qualcosa non andava: si sente stanchissimo e ha un gran mal di testa. Micalessin quindi si rivolge a un amico medico di Msf in Thailandia: “Lui, con una praticaccia degna del posto, mi allunga le pastiglie della terapia ancor prima di visitarmi: ‘Intanto pigliale così siamo sicuri che non degenera in cerebrale'”. In 72 ore tutto si è risolto per il meglio.

Non è andata così bene invece a Milano nel 2004, quando il giornalista era rientrato dopo: “due settimane passate in balia delle voraci anophele del Sud Sudan”. Il medico del pronto soccorso: “mi guarda come se fossi un mitomane – racconta Micalessin – mentre spiego con precisione da manuale sintomi e fastidi dell’imminente malaria”. Quel dottore non era andato oltre il termometro fermo sotto i 37 gradi, così gli aveva consigliato di aspettare 24 ore: “Giusto il tempo in cui si muore di malaria cerebrale non trattata”. Al successivo pronto soccorso aveva avuto più fortuna, anche se in Africa ci avrebbero messo meno di dieci minuti.