Alberto Savi, permesso premio al killer della Uno Bianca. “Non è giusto”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Febbraio 2017 - 13:09 OLTRE 6 MESI FA

PADOVA – Dodici ore di permesso premio. Alberto Savi, l’ex poliziotto noto come il killer della Uno Bianca, è uscito dal carcere di Padova dove sta scontando una condanna all’ergastolo. Per la prima volta dopo 23 anni Savi, che ora ha 52 anni, ha lasciato la cella in cui è rinchiuso e ha trovato ospitalità in una comunità protetta. Un permesso premio che ha scatenato polemiche e malumori, soprattutto dai parenti delle vittime che lo hanno trovato ingiusto.

Contro il permesso premio, come riportano i giornali locali, si era schierata la Procura della Repubblica, presentando un ricorso al via libera dato a dicembre dal giudice di sorveglianza. Per ottenere le dodici ore di libertà, Alberto Savi aveva presentato una serie di relazioni degli operatori del carcere che attesterebbero un percorso di pentimento iniziato da tempo.

L’ex killer della Uno Bianca infatti ha lavorato prima nel call center dell’istituto di pena per conto del Cup (Centro unico di prenotazione) dell’Azienda ospedaliera e dell’Uls 16 di Padova e poi in un’altra realtà. Sull’ok potrebbe aver pesato anche la lettera inviata nel settembre scorso all’arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Zuppi, per chiedere perdono per quanto fatto.

Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della banda della Uno bianca, non ha preso bene la notizia e ha commentato:

“I nostri morti non hanno permessi premio. Da poco siamo stati a due commemorazioni, di Beccari a Casalecchio e di Valenti a Zola Predosa, persone a cui la banda ha reciso la vita. Per noi questa gente non deve più avere voce in capitolo. Io non credo che si siano pentiti e mi auguro che dopo questo permesso la cosa finisca lì. E che i giudici non abbiano da pentirsi di averglielo dato”.

Anna Maria Stefanini, mamma di Otello, il carabiniere ucciso dai killer della Uno bianca insieme ai colleghi Mauro Mitilini e Andrea Moneta il 4 gennaio 1991 nella Strage del Pilastro a Bologna, ha commentato:

“Mi auguro che il giudice di sorveglianza che ha concesso il permesso abbia figli e capisca cosa hanno fatto queste persone alle famiglie che avevano dei figli: glieli hanno tolti, il mio aveva 22 anni e mi rimane solo una tomba e non ho più lacrime da piangere.

La legge in Italia è una vergogna, uno schifo. Che Paese è un Paese in cui persone che hanno ucciso 24 persone e ne hanno ferite 103 possono avere dei benefici? Devono gettare la chiave: nessun beneficio, nessun diritto. Non voglio vendetta, voglio giustizia. Hanno tolto la vita alle persone, la loro la devono passare in carcere fino alla fine. Che muoiano là dentro. Ogni volta che sentiamo queste cose è come se uccidessero nostro figlio di nuovo. Credo in Dio, sono cristiana ma non posso perdonare queste persone”.