Alfredino Rampi, la storia di Vermicino: 40 anni fa l’incidente, i tre giorni passati nel pozzo

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Giugno 2021 - 12:59 OLTRE 6 MESI FA
Alfredino Rampi, la storia di Vermicino: 40 anni fa l'incidente, i tre giorni passati nel pozzo

Alfredino Rampi, la storia di Vermicino: 40 anni fa l’incidente, i tre giorni passati nel pozzo FOTO ANSA

Sono passati 40 anni da quel 10 giugno del 1981 quando a Vermicino, a Frascati vicino Roma, il piccolo Alfredino Rampi di 6 anni cadde nel pozzo. Dopo quasi tre giorni di inutili tentativi di salvataggio, il bambino morì dentro il pozzo a una profondità di circa 60 metri. La vicenda ebbe grande risalto sulla stampa e nell’opinione pubblica italiana, con la diretta televisiva della Rai durante le ultime 18 ore del caso.

La mancanza di organizzazione e coordinamento dei soccorsi, ai limiti dell’improvvisazione, fecero capire l’esigenza di una nuova struttura organizzativa per poter gestire le situazioni di emergenza. Un incidente che negli anni successivi portò alla nascita della Protezione Civile, che all’epoca ancora solo sulla carta.

La storia di Vermicino e del piccolo Alfredino Rampi

Nel mese di giugno 1981 la famiglia Rampi (il padre Ferdinando, la madre Francesca Bizzarri, la nonna paterna Veja, e i figli Alfredo, 6 anni, e Riccardo, 2 anni) stava trascorrendo un periodo di vacanza nella loro seconda casa, in via di Vermicino, zona Selvotta, Frascati (Roma). La sera di mercoledì 10 giugno, Ferdinando Rampi, due suoi amici e il figlio Alfredino erano a passeggio nella campagna circostante. Venuta l’ora di tornare indietro, alle ore 19:20, Alfredino chiese al padre di poter continuare il cammino verso casa da solo, attraverso i prati. Ferdinando acconsentì, ma quando giunse a casa, verso le ore 20:00, scoprì che il bambino non era arrivato.

I genitori cominciarono a cercarlo nei dintorni e, non trovandolo, alle 21:30 circa allertarono le forze dell’ordine. La nonna ipotizzò per prima che Alfredino fosse caduto in un pozzo recentemente scavato in un terreno adiacente, dove si stava edificando una nuova abitazione. Tale pozzo venne tuttavia trovato coperto da una lamiera tenuta ferma da sassi.

Il ritrovamento di Alfredino Rampi nel pozzo

Un agente di polizia  sebbene gli fosse stato detto che il pozzo era coperto, pretese di ispezionarlo ugualmente. Fatta rimuovere la lamiera, infilò la sua testa nell’imboccatura, riuscendo così a udire i flebili lamenti di Alfredino. Si scoprì poi che il proprietario del terreno sovrastante aveva messo la lamiera sulla fessura intorno alle ore 21:00, senza minimamente immaginare che all’interno ci fosse intrappolato un bambino.

Il proprietario del terreno, abruzzese di 44 anni, insegnante di applicazioni tecniche, verrà in seguito arrestato con l’accusa di omicidio colposo. In più con l’aggravante della violazione delle norme di prevenzione degli infortuni.

I primi soccorsi per salvare Alfredino

Le operazioni di soccorso si rivelarono subito estremamente difficili, in quanto la voragine presentava un’imboccatura larga 28 cm. Una profondità complessiva di 80 metri e pareti irregolari e frastagliate, piene di sporgenze e rientranze. Giudicando impossibile calarvi dentro una persona, il primo tentativo di salvataggio consistette nel calare nell’imboccatura una tavoletta legata a corde. Allo scopo di consentire al bimbo di aggrapparsi e sollevarlo. Ma la tavoletta si incastrò nel pozzo a 24 metri e non fu più possibile rimuoverla ostruendo quasi del tutto il condotto.

Attorno all’una di notte alcuni tecnici della Rai, allertati allo scopo, calarono nel budello roccioso un’elettrosonda a filo, per consentire ai soccorritori in superficie di comunicare col bambino il quale, almeno per il momento, rispondeva lucidamente. Si pensò quindi di scavare un tunnel parallelo al pozzo, da cui aprire un cunicolo orizzontale lungo 2 metri, che consentisse di penetrare nella cavità poco sotto il punto in cui si supponeva si trovasse il bambino. Nel frattempo i Vigili del fuoco avevano incominciato a pompare ossigeno nel pozzo, allo scopo di evitare l’asfissia del bambino.

Il tunnel parallelo per salvare Alfredino

Alle ore 8:30 dell’11 giugno la sonda cominciò a scavare e il terreno si rivelò friabile riuscendo a scavare 2 metri in due ore. Verso le 10:30 tuttavia venne intercettato uno strato di roccia granitica difficile da scalfire. Nel frattempo Alfredino Rampi si lamentava per il forte rumore e alternava momenti di veglia a colpi di sonno e chiedeva da bere. Intorno alle 16:00 entrò in azione una seconda perforatrice, più performante, dopo che la prima era riuscita a scavare un pozzo di 20 metri di profondità e 50 cm di diametro. I tecnici operatori di questa nuova macchina, a causa del sottosuolo duro e compatto, ipotizzarono non meno di 8-12 ore di lavoro per arrivare alla profondità richiesta.

Alle 7:30 del 12 giugno la perforatrice era scesa soltanto a 25 metri di profondità. Un’ora e mezzo dopo incontrò un terreno più morbido, che le consentì di accelerare la discesa. Nel frattempo i soccorritori continuavano a parlare col bambino che aveva cominciato a piangere dicendo di essere stanco. Alle 10:10 lo scavo parallelo era arrivato a una profondità di 30 metri e 5 centimetri e un ingegnere dei vigili del fuoco rivide al ribasso la stima della profondità cui si trovava il bambino: 32,5 m invece di 36.

Si decise pertanto di accelerare i lavori e di incominciare immediatamente a scavare il raccordo orizzontale fra i due pozzi, prevedendo di sbucare un paio di metri sopra il bambino. Alle 16:30 giunse sul posto il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che si fece porgere il microfono per poter parlare con il bambino. Nel frattempo il tutto andava in onda in diretta a reti unificate senza sosta.

Il cunicolo orizzontale al pozzo, ma Alfredino è molto più giù

Alle 19:00 il cunicolo orizzontale fu completato e il pozzo del bambino fu posto in comunicazione con quello parallelo, a 34 metri di profondità. Tuttavia, si dovette prendere atto del fatto che il bambino non era nelle vicinanze del foro appena aperto in quanto, probabilmente anche a causa delle vibrazioni causate dalla perforazione, era scivolato molto più in basso a una profondità imprecisata. In seguito si accertò che il bambino si trovava a circa 60 metri dalla superficie.

La morte di Alfredino Rampi

Dopo vari tentativi di calarsi nel pozzo con altri volontari, fra cui nani, esperti di pozzi e persino un contorsionista, arriva la tragica notizia. Dopo che la signora Franca chiamò per molte volte invano il figlio, verso le 9:00 del 13 giugno venne calato nel pozzo uno stetoscopio, al fine di percepire il battito cardiaco del bambino. Non registrando nulla, verso le ore 16:00 calarono nella buca una piccola telecamera fornita da alcuni tecnici della Rai, che a circa 55 metri individuò la sagoma immobile di Alfredino, che non si muoveva più né tantomeno respirava.

Fatta la dichiarazione di morte presunta, per assicurare la conservazione del corpo, il magistrato ordinò che fosse immesso nel pozzo del gas refrigerante. Il cadavere recuperato da tre squadre di minatori della miniera di Gavorrano l’11 luglio seguente, 28 giorni dopo la morte del bambino. I funerali si svolsero mercoledì 15 luglio 1981 nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura. Alfredino ricevette la sepoltura presso il Cimitero del Verano di Roma.