La morte di Zanzotto: “Cosa si capisce della vita a 90 anni? Niente”

di Warsamé Dini Casali
Pubblicato il 18 Ottobre 2011 - 13:26 OLTRE 6 MESI FA

TREVISO – Il poeta Andrea Zanzotto è morto. Si è spento questa mattina all’ospedale di Conegliano, dove era ricoverato da alcuni giorni, a causa di complicazioni respiratorie. Solo due settimane fa Il Sole 24 Ore gli aveva dedicato un’edizione del Domenicale per festeggiare i suoi 90 anni. Voce originale, sperimentatore libero senza ambizioni avanguardistiche, Zanzotto è considerato un maestro della poesia italiana. Al centro della sua produzione letteraria il suo luogo natio, Pieve di Soligo. Dalla sua casa davanti alle montagne il 10 ottobre scorso concesse l”ultima sua intervista a una televisione. All’inviato del Tg3 Veneto che gli domandava cosa si capisce della vita a 90 anni, rispondeva laconico: “Niente”. Per poi aprire uno squarcio rassicurante sulla nostra provvisorietà: “”Cosa vuole che si capisca in 90 anni ? Per dire parole che valgano la pena bisognerebbe almeno averne 900 di anni…”

Le parole che valgono la pena di esser dette, pronunciate con il filo di voce consentito alla poesia, Zanzotto ha iniziato a metterne su pagina dal 1951. L’esordio “Dietro il paesaggio” rappresenta la prima raccolta poetica di Zanzotto e documenta la straordinaria maturità con la quale quest’autore, allora trentenne, si affacciò nella più prestigiosa collana poetica del tempo, dopo essersi aggiudicato nel 1950 il Premio San Babila per la sezione inediti, con una giuria composta dal Gotha della poesia italiana di quegli anni: Montale, Quasimodo, Sereni, Sinisgalli e Ungaretti. “Qui non resta che cingersi intorno il paesaggio / qui volgere le spalle”: il leitmotiv del paesaggio rimarrà costante in tutta la sua opera come emblema e immagine (le ferite prima della guerra poi quelle della industrializzazione selvaggia) della natura “degradata” e della condizione umana irrimediabilmente disarmata e precaria.

“Armoniche, colme grammatiche, / ologrammmi di estreme matesi, / o voi, da tutti i soffi, amati”: in Lanugini, il critico Carlo Ossola coglie la temperatura pulviscolare dell’ultimo Zanzotto, quello della raccolta “Conglomerati”. Un esempio della difficile, imprevista scelta lessicale del poeta, mai intellettualistica ma orientata a trasferire su carta quella “specie di mare di punti in movimento senza significato”.

Visceralmente legato al suo paese di origine, non tollerava però ambizioni secessioniste. Per i suoi 90 anni il Caffè Pedrocchi di Padova organizzò una celebrazione: il vice presidente della Provincia di Padova, infuriato per non aver avuto un posto tra i relatori e bacchettato indirettamente dallo stesso poeta sulla secessione, presi guanti e cappello, si congedò offeso. Non verrà ricordato, lui e il suo gesto. Verranno ricordate le parole di un poeta vero. Che l’Italia si faccia per un giorno, il giorno in cui muore un poeta, più piccola, più umile di una Pieve di Soligo.