Ascensore trappola: tre giorni di sete e paura per due suore rimaste chiuse

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Giugno 2015 - 14:27 OLTRE 6 MESI FA
Ascensore trappola: tre giorni di sete e paura per due suole rimaste chiuse

Ascensore trappola: tre giorni di sete e paura per due suole rimaste chiuse

ROMA –  Tre giorni in trappola. Con fame sete e paura. Tre giorni in una trappola larga e profonda poco più di un metro e alta due.  Un ascensore. Spazio angusto e soffocante per una persona. Ma quello stesso spazio suor Miriam Mc Manus, irlandese, 58 anni e suor Mary Elisabeth O’Carrol, neozelandese di 68, lo hanno dovuto addirittura dividere. Urlando prima, pregando poi, dormendo rannicchiate in posizione fetale fino all’arrivo dei soccorsi.

Una storia quella delle due religiose che accade nel convento romano delle suore Mariste a Roma, in via Aurelia, non lontano dal Vaticano. E’ venerdì pomeriggio, il convento si va svuotando per il fine settimana. Devono rimanere soltanto loro due. Elisabeth e Miriam prendono l’ascensore per andare al terzo piano. Ma l’ascensore si ferma a metà tra il secondo e il terzo piano. Guasto elettrico. Impossibile aprire le porte o solo tentare di uscire.

Le due sorelle sanno che in convento a quell’ora c’è ancora qualcuno. Poche persone, tutte sul punto di uscire e tornare solo il lunedì successivo. Le sorelle gridano. Non le sente nessuno. Il convento si svuota e loro restano là: in una gabbia che sarebbe stretta per una persona. Al caldo. Senza cibo né acqua. Le suore non hanno con loro un cellulare. Hanno il rosario. Non resta che aspettare e pregare. Fanno così e se ne va la prima notte.

Come dormire in due dentro un ascensore? L’unica è accucciarsi, rannicchiate in posizione fetale sul pavimento. “Abbiamo usato le borse come cuscino” hanno raccontato le sorelle.  Il problema è che quando ti svegli è sabato e ci sono ancora due giorni pieni da passare là dentro. A Roma arriva un week end torrido, con un breve acquazzone la domenica pomeriggio. Pioggia che non porta refrigerio. E quindi a Miriam e Elisabeth non resta che aspettare, pregare e provare a dormire con i morsi della sete, della fame e il disagio di condividere quello spazio in condizioni estreme.  Passa un’altra notte. E un altro giorno intero. In totale 60 ore chiuse là dentro.

Facile immaginare che con tutto il conforto della fede le due abbiano avuto paura: l’ascensore sospeso, il tempo che non passa e il convento vuoto. Il lunedì mattina la salvezza: un inserviente del convento citofona. Non risponde nessuno e si allarma. Arriva la chiamata ai carabinieri che arrivano sul posto. Le due hanno ancora un filo di voce per rispondere a chi le chiama. Le tirano fuori: sono disidratate, spaventate, provate ma salve. “Grazie alla preghiera” dicono loro.