“Progettare attentati nella Jihad non è un reato”, la sentenza dei giudici di Monza

Pubblicato il 7 Ottobre 2010 - 09:46 OLTRE 6 MESI FA

Abbracciare l’ideologia di Al Qaeda, senza farne parte, e documentarsi a lungo su internet per trovare nei siti integralisti indicazioni e strategie per compiere attentati e poi condividere con altri l’idea di Jihad, non è un reato, se questo ”progetto” non sfocia ”in atti ulteriori rispetto al mero parlare di obiettivi, strumenti, modalità, ragioni ideali”. E ciò anche se il progetto abbia avuto ”carattere di pericolosità” e sia stato prossimo a realizzarsi col rischio di ”piangere vite umane”. E’ questa, in sostanza, la motivazione, innovativa dal punto di vista giuridico, con cui la Corte d’Assise di Monza ha assolto nel luglio scorso due marocchini, Abdelkader Ghafir, difeso dall’avvocato Barbara Manara, e Rachid Ilhami, predicatore del centro culturale “Pace” di Macherio, a Monza, dall’accusa di terrorismo internazionale e concorso esterno ad Al Qaeda.

Ilhami è stato condannato solo per l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione. Dopo la sentenza i due, in carcere da un anno e mezzo, sono usciti in libertà vigilata e poi ad agosto sono stati espulsi su decisione del Ministero dell’Interno. Per il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano quella della Corte di Monza è una decisione che ”sconcerta”, perchè”se gli stessi argomenti adoperati dai giudici monzesi fossero trasposti in un qualsiasi processo per associazione mafiosa, l’esito sarebbe la sistematica assoluzione di ogni imputato”.

Stando alle indagini del pm di Milano Nicola Piacente, i due avrebbero progettato azioni contro alcune caserme dei carabinieri nell’hinterland milanese, e poi contro il parcheggio di un supermercato e contro un bar. ”Io, se devo morire, voglio morire nel Jihad”, diceva Ghafir intercettato, mentre Ilhami parlava anche di ”schiantarsi contro il Parlamento”. Non vi èdubbio, scrivono i giudici, ”che vi fosse un pieno accordo tra i due imputati per la commissione di uno o piu’ atti di violenza a fini di terrorismo in danno di persone (i clienti del bar Mistral, i clienti del supermercato, i militari della caserma di Giussano o Desio e della caserma Perucchetti – quella del fallito attentato di Mohamed Game di circa un anno fa)”.

Ilhami,in particolare, proseguono i giudici, si è ”autoindottrinato” tramite ”Internet o tramite libri e pubblicazioni”, ha poi divulgato il materiale scaricato e ha cercato di educare all’ideologia altre persone e anche ”il proprio figlio”. I due imputati, però, ”non si erano procurati i mezzi minimi necessari per compiere un attentato; non una bombola di gas, non una tanica di benzina , non armi”. E i due, secondo i giudici,che citano giurisprudenza della Cassazione, non fanno parte di Al Qaeda nè di un’associazione terroristica. La loro è una volontà di jihad “fai-da-te”.

Manca in questo caso ”ogni collegamento con organizzazioni terroristiche sia in Italia che all’estero. Non risultano contatti con persone indagate o processate per fatti di terrorismo”. Ed ”il progetto in sè” non può essere considerato reato, anche se poi ”è merito del tempestivo intervento della Digos e dei magistrati” che li hanno pedinati e controllati se ”il progetto non è riuscito a superare la soglia ulteriore e a concretizzarsi”. La vicenda, concludono i magistrati, non rientra dunque” nell’ambito della repressione penale ma va ascritta all’ambito della prevenzione, sulla quale la Corte d’Assise non puo’operare interventi”.