Inchiesta G8, Zampolini: “Un monsignore gestiva le case di Balducci e Anemone”

Pubblicato il 3 Giugno 2010 - 08:59 OLTRE 6 MESI FA

Era un monsignore a gestire le case in affitto per conto della congregazione Propaganda Fide e teneva i contatti con Angelo Balducci e Diego Anemone. Il Corriere della Sera porta alla luce nuovi legami tra l’inchiesta appalti ed il Vaticano. A spiegare il coinvolgimento del monsignore nell’inchiesta “case” è stato l’architetto Angelo Zampolini davanti ai magistrati di Perugia. Balducci e Anemone avrebbero affidato al prelato il compito di curare le operazioni immobiliari.

«Si occupava delle assegnazioni, mentre i contratti di vendita erano firmati dal cardinale Crescenzio Sepe. Nel 2004 fu proprio lui a cedere all’allora ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi il palazzo di via dei Prefetti», ha raccontato l’architetto. Uno stabile che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato acquistato a un quarto del suo valore effettivo. Un «favore» che l’alto prelato, attualmente arcivescovo di Napoli, avrebbe fatto anche su pressione dello stesso Balducci. Lunardi ha sempre smentito di aver ottenuto sconti o trattamenti privilegiati, ma su quell’acquisto si continua a indagare visto che fu proprio Zampolini a curare la trattativa.

L’inchiesta sulla gestione degli appalti per “Grandi Eventi” continua dunque a puntare verso il Vaticano perché è proprio da Propaganda Fide che politici e potenti funzionari statali avrebbero ottenuto appartamenti a prezzi stracciati. Dimore che Diego Anemone provvedeva poi a ristrutturare, come risulta anche dalla lista dei clienti trovata dalla Guardia di Finanza nel computer di una delle sue aziende.

In quell’elenco ci sono pure gli stabili di via della Vite e di via Quattro Fontane, lì dove, racconta l’architetto, «Antonio Di Pietro prese due appartamenti». Nel primo c’era la sede del giornale dell’Italia dei Valori e ora si sta accertando se, come emerge dai primi accertamenti, il canone versato fosse inferiore a quello dichiarato nei documenti ufficiali. Nell’altro vive il tesoriere del partito Silvana Mura. In calce al suo contratto c’è la firma di monsignor Francesco Di Muzio, capo dell’ufficio amministrativo della Congregazione. Potrebbe essere proprio lui il prelato cui ha fatto riferimento Zampolini, ma gli inquirenti vogliono verificare anche il ruolo avuto in questo tipo di trattative da monsignor Massimo Cenci, nominato proprio da Sepe sottosegretario e dunque delegato alla gestione del patrimonio da affidare in locazione.

Sono numerosi i contratti che Guardia di Finanza e carabinieri del Ros stanno esaminando per ricostruire la mappa dei favori concessi da Anemone e Balducci attraverso gli amici della Santa Sede. Del resto Zampolini racconta che «anche Di Pietro chiedeva al Provveditore di essere introdotto in Vaticano e so che lui andò via dal ministero proprio perché diceva di essere pressato su questo».

A raccontare che anche Anemone era ben introdotto negli stessi ambienti è stato invece il suo ex autista, il tunisino Laid Ben Hidri Fathi, quando ha rivelato che «lui si occupava delle ristrutturazioni delle case di politici e prelati ed ero io ad accompagnarlo da monsignor Francesco Camaldo». L’incrocio delle testimonianze rilasciate da Fathi e da Zampolini ha consentito ai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi di ricostruire le operazioni immobiliari che entrambi hanno gestito. A Fathi era stato infatti affidato il compito di prelevare i contanti sui conti correnti di Anemone che venivano poi consegnati a Zampolini e trasformati in assegni circolari. Titoli utilizzati per acquistare appartamenti per l’ex ministro Claudio Scajola, per il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru e per il genero del manager delle Infrastrutture Ercole Incalza.