Banda della Magliana, esordì col rapimento Grazioli: un tragico gioco dell’oca… il duca era già morto

di Pino Nicotri
Pubblicato il 25 Gennaio 2018 - 05:18| Aggiornato il 31 Marzo 2020 OLTRE 6 MESI FA
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Tutta la storia della Banda della Magliana

Con l’arresto in Spagna del latitante Fausto Pellegrinetti, c’è di nuovo il boom di citazioni della strafamosa Banda della Magliana, che per brevità chiameremo BdM, diventata Nuova Banda della Magliana anche se in realtà si tratta solo di un nome di fantasia, usato per sfruttare la fama della BdM con la quale peraltro non c’entra assolutamente nulla. Così come non c’entra assolutamente nulla col mistero Orlandi, ma i drogati del mistero sono già in fibrillazione sperando che Pellegrinetti “confessi” e faccia i nomi di chi nell’83 ha fatto sparire Emanuela Orlandi…
Ma perché quella ormai storica, o meglio mitica banda, vale a dire la BdM, si chiama come si chiama? Che c’entra il quartiere romano della Magliana, condannato ormai a essere schiavo di quel nome e di avvenimenti coi quali in realtà c’entra poco o nulla?

Il destino e il nome che hanno reso tristemente famoso quel quartiere di periferia, certo molto lontano dai Parioli, come composizione sociale e come orografia, essendo sotto il livello del Tevere, come fosse la Scampia romana della Gomorra capitolina, presero forma irreversibile la sera del 4 marzo 1978.

E’ stato allora che per un appuntamento decisivo e miliardario i feroci rapitori del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere, “prelevato” quattro mesi prima e all’epoca padrone e inquilino del romano palazzo Grazioli, passato poi a Silvio Berlusconi, indicarono, senza starci troppo a pensare, la stazione Magliana della metropolitana di Roma per la prima tappa del percorso che il figlio Giulio doveva fare per depositare la valigetta coi miliardi (di lire) da pagare per il rilascio del padre. La indicarono solo perché era il quartiere di alcuni di loro, gruppo di balordi borgatari sparsi anche al Portuense, al Trullo, al Testaccio, a Trastevere e altrove, ma tutti suggestionati dall’allora florida industria dei sequestri e dalla facilità con la quale il terrorismo brigatista e affini uccidevano.

Come forse ricorderanno gli spettatori delle varie trasposizioni filmiche delle imprese della Banda della Magliana, il povdro duca, nonostante il pagamento di un riscatto di un miliardo e mezzo di lire, una cifra da capogiro anche oggi, non rivide più i suoi cari. o ammazzarono. Alla fine la polizia scoprì i colpevoli e li assicurò alla giustizia.

Nel fissare quell’appuntamento, senza rendersene conto era sfuggito di bocca ai rapitori un indizio mica da poco, dandosi così potenzialmente due volte la zappa sui piedi: avevano regalato una bella dritta agli “sbirri”, che però stranamente non sapranno che farsene, la Magliana infatti non la setacceranno mai, e marchiato per sempre il quartiere incautamente nominato: se nell’inno di Mameli l’Italia è “schiava di Roma”, la Magliana è schiava non solo della BdM. Il suo nome infatti finirà per diventare il sinonimo dell’intera Roma criminale e indicare ciò che in realtà è stato l’insieme della malavita della capitale, un arcipelago disomogeneo e a geometria variabile fatto di bande dalle gerarchie e ranghi mai ben definiti, mai stabili, fatto di figli di una Mamma Roma senza pietà, senza dignità e senza giustizia.

Una sorta di Roma Città Aperta usata come una prostituta a piacimento da parte di tutta una serie di poteri più o meno legali e criminali, ma tutti abituati all’usa e getta: dalla mafia a gangli dei servizi segreti, dalla camorra alle finanze del Vaticano, dagli stragisti fascisti ai narcotrafficanti, dai finanzieri d’assalto a monsignori dal nome inconfessabile. Todos caballeros: a cavallo della BdM, ovviamente. Gente che spesso non ama lasciare testimoni in circolazione…
In compenso in circolazione è rimasto, sempre più malfamato, il nome della Magliana, tirata in ballo per sfruttarne la fama del logo, del marchio – come fosse una griffe d’autore – a ogni fattaccio e impresa criminale di personaggi e malavitosi più o meno organizzati, cioè in combutta con altri, compreso perfino il rapimento dell’onorevole Aldo Moro e la strage con bomba alla stazione di Bologna. Il tutto nonostante che le sentenze definitive di condanna dei veri membri della BdM non contengano nessun nome di spicco o comunque diventato famoso.

La BdM assurge alla fama e comincia a diventare mitica il 17 aprile del 1993, con l’exploit del megablitz di quasi cento arresti ordinato dai magistrati Otello Lupacchini e Giancarlo De Gasperis sulla base dei racconti di un unico pentito, Maurizio Abbatino, che in aula dovrà scusarsi coi giudici per avere mentito spesso e volentieri accusando di preferenza gente morta per evitarsi le vendette dei veri colpevoli ancora vivi. Nonostante il severo ridimensionamento e le varie potature sancite dalla Cassazione e dal rifacimento di alcuni rami del processone, Lupacchini, darà alle stampe un libro intitolato appunto La Banda della Magliana, e col sottotitolo “alleanza tra mafiosi, terroristi, spioni, politici, prelati…”, che non tiene granché in conto le sentenza passate in giudicato. Ma procediamo.

All’interlocutore telefonico dei rapitori del duca Grazioli – già ucciso con una scarica di mitra perché aveva visto uno dei rapitori a volto scoperto e quindi avrebbe potuto riconoscerlo una volta tornato libero – c’era da indicare un cestino dei rifiuti de “la metro”, come a Roma chiamano ciò che a Milano è anche chiamato “il metrò”. Un cestino nel quale era stato lasciato un foglio con le istruzioni da seguire, il primo di altri tre lasciati man mano a distanza come in una drammatica caccia al tesoro. L’appuntamento era per Giulio Grazioli Lante della Rovere, di 35 anni, figlio unico del duca Massimiliano, 66 primavere alle spalle, chiamato Max dalla moglie e dagli amici e don Massimiliano dai sottoposti, rapito fuori Roma quattro mesi prima, per l’esattezza alle 18,30 del 7 novembre 1977.

A buio inoltrato Giulio, ignaro che il padre è già stato ucciso e che il basista dei rapitori è un amico di famiglia al quale confida anche tutte le iniziative dei carabinieri per scovarli, esce dalla storica abitazione di famiglia, il palazzo Grazioli della centralissima via del Plebiscito 102, diventata la casa romana di Berlusconi, sale in auto e si avvia verso quella “fatale” fermata della metropolitana portandosi appreso un pesante borsone. Dentro ci sono i 15.000-20.000 biglietti da 100.000 lire l’uno, vale a dire tra il miliardo e mezzo e i due miliardi di lire del riscatto, pari a 5-6 milioni di euro attuali. Soldi con i quali i balordi tuffandosi a capofitto nel ricco mercato delle droghe tenteranno di fare il gran salto: formare cioè una vera e propria banda. Tentativo fallito nel giro di pochissimi anni perché tra sospetti, tradimenti e gelosie si sono ammazzati in massa tra di loro.

Per il resto del macabro gioco dell’oca fatto fare a Giulio cito il mio libro “Cronache criminali. La storia definitiva della Banda della Magliana”:

“«Sta’ tranquillo, avrai la prova che tuo padre è vivo. Prendi la metropolitana fino alla stazione Magliana partendo da via Aventina. E cerca in un cestino dei rifiuti». Giulio esce di casa con un amico e la pesante sacca piena di biglietti da 100.000. Arrivato alla stazione della Magliana, ne scende le scale mentre l’amico resta in auto con i soldi e nel primo cestino trova tra i rifiuti il primo dei messaggi di quella notte mozzafiato: «Sali le scale di fronte a te, troverai una macchina Golf Volkswagen di colore bianco targata Roma R29185, e troverai altre istruzioni sopra il parasole». Firmato «Leone Rosso». Sopra il parasole altro biglietto con nuove istruzioni: «Dirigiti sulla Cristoforo Colombo fino allo stabilimento Kursaal di Ostia, di fronte allo stesso stabilimento troverai una tabella dell’autobus con cestino attaccato. Dentro troverai una busta di plastica con altre istruzioni. Leone Rosso».

Mentre i carabinieri venivano depistati e lasciati a fare la guardia all’auto di Giulio parcheggiata davanti alla stazione della Magliana, i due sulla Golf bianca arrivano a destinazione e nella busta di plastica trovano altre istruzioni corredate da una piantina disegnata a penna: «Rimonta in macchina e avviati verso Ostia per imboccare la via Ostiense in direzione Roma, segui bene le frecce per l’aeroporto. Dopo fatto un tratto dell’Ostiense a senso unico troverai l’indicazione Fiumicino Aeroporto, gira e vai verso Roma e verso Autostrada Civitavecchia. Giunto al grande cartello che indica dritto per Roma, a seicento metri verso Civitavecchia fermati che troverai altre istruzioni. Leone Rosso».

Quarto messaggio, con la caccia al tesoro che comincia a somigliare al gioco dell’oca: «Rimonta in macchina e prendi l’autostrada per Civitavecchia. Oltrepassando il casello preparati, che al prossimo appuntamento troverai una foto di tuo padre. Una volta passato il casello assumerai una velocità di cinquanta chilometri l’ora per arrivare al cartello numero 17 indicante Cerveteri-Ladispoli km 11. Fermati posteggiando alla tua destra, traversa e troverai altre indicazioni. I messaggi li troverai attaccati in basso sul palo di sostegno. Giglio Rosso». Come si vede il Leone, belva che può sbranare, è diventato un più rassicurante Giglio. Buon segno? No, perché il nuovo messaggio è di nuovo firmato Leone Rosso: «Rimonta in macchina e avviati sempre alla stessa velocità verso il cartello numero 20 indicante allacciamento Aurelia. Riposteggia, ritraversa e prendi sempre dove hai trovato il precedente, troverai altre informazioni». Le ultime, corredate da una foto del sequestrato: «Giulio, sei arrivato alla fine della corsa. Proprio di fronte al cartello, e cioè dove hai posteggiato, c’è il parapetto di un ponte. Affacciati e getta di sotto la borsa con i soldi, rimonta in macchina e vai fino a Civitavecchia, esci dall’autostrada, prendi l’Aurelia e torna a casa. Stai tranquillo intanto, perché hai in mano la foto recentissima. Se tutto andrà come noi vogliamo a distanza massima di ventiquattr’ore riceverai la telefonata di papà. Leone Rosso». Il Giglio è ritornato definitivamente un Leone… Pronto a sbranare.

La foto Polaroid ritrae don Massimiliano con in mano una copia del giornale «Il Tempo» proprio di quel 4 marzo, foto davvero recentissima quindi. Giulio prende il borsone, guarda giù dal cavalcavia, quello della strada provinciale per Ceri, non vede nulla a causa del buio pesto ma sente gridare «Forza, butta giù i soldi e vattene!», «Torna a casa e aspetta», «Tuo padre sarà liberato nel giro di poche ore». Buttata giù la sacca e tornato a casa, per Giulio e per sua madre comincia l’attesa. Sempre più angosciante. Ma inutile”.