Banda Magliana: Noi più potenti di Cosa Nostra e 007 insieme

di Edoardo Greco
Pubblicato il 23 Dicembre 2015 - 14:27 OLTRE 6 MESI FA
Banda Magliana: Noi più potenti di Cosa Nostra e 007 insieme

Banda Magliana: Noi più potenti di Cosa Nostra e 007 insieme

ROMA – “Eravamo più potenti di Cosa Nostra e dei Servizi Segreti messi insieme”: le parole di Antonio Mancini detto “Accattone”, ex boss della Banda della Magliana, ritornano d’attualità dopo che la sua ex compagna – nonché madre di sua figlia – Fabiola Moretti è stata arrestata per aver tentato di ammazzare a coltellate il ragazzo di sua figlia, Giuliano Bevilacqua, che stava festeggiando il suo compleanno.

Fabiola Moretti, che è stata anche la donna di Danilo Abbruciati detto “er Camaleonte”, era fra i reduci della “Banda” vivi e in libertà. Insieme con Maurizio Abbatino, detto “Crispino”, il sunnominato Mancini, Ernesto Diotallevi e Raffaele Pernasetti, detto “er Palletta”. In carcere invece sono rimasti Gianfranco Urbani e Marcello Colafigli detto “Marcellone”, rinchiuso in un manicomio criminale.

La potenza dell’organizzazione mafiosa sempre in conflitto con l’indole anarchica della criminalità romana: questo uno dei tratti distintivi della Banda della Magliana, che aveva saputo tenere a bada il “sangue caldo” dei suoi capi e dei suoi sottoposti, finché si è indebolita la collaborazione con i servizi segreti e Cosa Nostra, quelle due organizzazioni delle quali parla oggi Mancini quando dice: “Aveva ragione l’ex commissario antimafia Domenico Sica: eravamo più potenti di Cosa Nostra e dei Servizi Segreti messi insieme”.

Una potenza che si fatica a immaginare commentando il gesto di Fabiola Moretti, che in quella banda era un personaggio di rilievo, in quanto donna di Abbruciati e poi Mancini, nonché molto amica di Enrico “Renatino” De Pedis. Quella che in Romanzo Criminale è stata raccontata come “Donatella”, entrò nella Banda come spacciatrice, per poi diventarne membro permanente nel 1979.

La “leonessa trasteverina”, “bella e spregiudicata”, come la descrivono Marco De Risi e Stefano Sofi sul Messaggero, Fabiola Moretti fu arrestata nel 1994: era nascosta in una villa di Casalpalocco. Dopo pochi mesi decise di collaborare e accusò l’ex senatore dc Claudio Vitalone di essere uno dei mandanti dell’omicidio di Mino Pecorelli (giornalista, direttore di OP, freddato nel 1979). La Moretti fece scoprire anche agli investigatori uno degli autori materiali del sequestro di Emanuela Orlandi, vicenda per il resto rimasta avvolta nel mistero. Si trattava di Sergio Virtù, autista di “Renatino”.

Ma la Moretti ha continuato a vivere la sua vita, anche durante la sua lunga collaborazione con la Procura di Roma. Fu arrestata per droga durante il processo per il delitto Pecorelli, poi nel 1998 e ancora nel 2001, quindi continue evasioni dagli arresti domiciliari. Fino alla sera del 20 dicembre. Raccontano Ilaria Filippone e Maria Lombardi sul Messaggero:

Fabiola, 58 anni, “primula rossa” della Banda, compagna dei capi e spacciatrice, una vita tra gioielli e droga segnata negli ultimi anni da continue evasioni dagli arresti domiciliari, arriva intorno a mezzanotte alle case popolari di via dei Papiri, a Santa Palomba. L’accompagna il figlio Ilari Mazza, nato dal matrimonio con Franco, detto ”er Monchetto”, un altro criminale assassinato a Primavalle nel 1992.

Lui aspetta in macchina, la madre entra in casa e si scaglia contro la figlia, ha in mano una pistola giocattolo. La relazione con quel ragazzo non l’ha mai sopportata. Non è bastata la nascita di due nipoti, nemmeno l’aver imposto all’ultimo il nome di Danilo, in memoria di Abbruciati, killer della Magliana ucciso nell’aprile dell’82 da una guardia giurata nel fallito agguato a Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano. «Voleva che la figlia lasciasse Giuliano», ripete il padre della vittima.

Quando vede Fabiola aggredire in cucina la compagna, il giovane si mette in mezzo e cerca di fermarla. Ed è allora che la donna tira fuori un coltello a serramanico con la lama di dieci centimetri e colpisce il giovane quattro volte, due al torace e poi alle gambe e all’addome. «Dopo aver accoltellato mio figlio con le mani ancora sporche di sangue si è voltata verso di noi per minacciarci: chi osa parlare lo uccido», racconta ancora il padre di Giuliano. «Poi è scappata».

C’è il figlio giù ad aspettarla. Il piano prevedeva probabilmente altro. I carabinieri della compagnia di Pomezia hanno trovato sotto casa dei Bevilacqua (Giuliano e il padre abitano uno accanto all’altro) un bidone pieno di benzina. L’ipotesi degli investigatori è che la donna volesse anche incendiare l’abitazione del genero. Giuliano è stato portato all’ospedale Sant’Anna di Pomezia, non è in pericolo di vita. Anche Fabiola e il figlio si sono presentati al Sant’Eugenio, nella lite la donna ha riportato ferite guaribili in venti giorni.