Bruce McCandless, morto astronauta della prima passeggiata nello spazio

di Fabio Govoni (Fonte Ansa)
Pubblicato il 23 Dicembre 2017 - 19:41 OLTRE 6 MESI FA
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Bruce McCandless, morto astronauta della prima passeggiata nello spazio

ROMA – In ombra, appena distinto dal nero pece del cosmo, lentamente si allontana dallo shuttle Challenger. Poi nitido, luminoso e bianco, si staglia contro lo spazio, ma con un magnifico grande spicchio di azzurro e di nuvole del nostro pianeta sotto i piedi, mentre fluttua, da solo, con l’aiuto di un jetpack sul quale è adagiato come su una poltrona: sono le storiche immagini della prima passeggiata spaziale senza corda. Era il 1984 e il protagonista era l’astronauta americano Bruce McCandless, che è morto il 23 dicembre nella California dov’era nato 80 anni fa.

“Siamo dispiaciuti per la perdita dell’astronauta Bruce McCandless, meglio conosciuto per essere stato il primo uomo a fluttuare libero nello spazio…”, ha twittato la Nasa, rendendo omaggio a un astronauta veterano, ex pilota della US Navy, che fino alla fatidica missione shuttle del 1984 rimase “in panchina” dal 1966, designato come “riserva” per varie missioni, fra cui Apollo 11, per la quale era comunicatore fra Houston e i colleghi sulla Luna, e Apollo 14. Quando finalmente, dopo 18 anni di paziente attesa, arrivò il suo momento, McCandless aveva già 46 anni.

Le missioni lunari erano terminate da un decennio. Partecipò nel febbraio 1984 alla missione Sts-41-B della navetta Challenger, che due anni dopo sarebbe esplosa un minuto dopo il lancio in diretta mondiale con sette persone a bordo. A lui il compito di collaudare per primo il Manned Manoeuvering Unit (Mmu), meglio noto come ‘jetpack’: uno zaino rigido grande come un frigorifero, con due braccioli per i comandi manuali, fornito di micro razzi direzionali e dell’ ossigeno.

Non era potente come le immagini delle prime ‘passeggiate’ spaziali del sovietico Aleksiei Leonov e poi dell’americano Edward H. White in missione Gemini, entrambe del 1965: esitanti, un po’ impauriti, impotenti mentre si allontanano a poco a poco dal portellone, col cordone ombelicale del tubo dell’ossigeno, drammaticamente stagliati contro lo sfondo bianco di nuvole che scorrono dietro le loro spalle.

McCandless invece appare quasi immobile, si muove impercettibilmente con piccoli getti direzionali impressi al suo strumento, che lo rendeva al tempo stesso libero ed esposto drammaticamente alla possibilità di perdere contatto con l’astronave, di fluttuare via da solo. “Guarda, quella è la Florida. Che meraviglia!”, esclamò in quei momenti, mentre lui e la Challenger orbitavano a una velocità di 29.000 km orari.

“Uno spettacolo di coraggio e bellezza”, titolò il New York Times immortalando McCandless nel suo bianco scafandro in prima pagina. Lui e, poco dopo di lui, l’astronauta Robert L. Stewart, erano diventati i “primi satelliti umani”. “Forse per Neil sarebbe stato un passo piccolo piccolo, ma per me è stato un salto pazzesco”, scherzò lui, parafrasando le storiche parole pronunciate da Armstrong sulla Luna 15 anni prima. Ebbe la soddisfazione di partecipare, 52enne, a una seconda missione Shuttle nell’aprile 1990, quella che rilasciò in orbita il grande telescopio Hubble, prima di ritirarsi a vita privata.