Bruno Stano condannato per Nassiriya: ex generale deve risarcire parenti vittime

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Febbraio 2017 - 13:09 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Bruno Stano condannato a risarcire i parenti delle vittime di Nassiriya. Stano, nel 2003 comandante della missione italiana, è stato condannato dalla Corte d’Appello civile di Roma, mentre la Cassazione lo aveva assolto dal punto di vista penale. Dunque per i giudici romani Stano era in qualche modo responsabile dei militari italiani morti in Iraq.

Spiega Francesco Grignetti su la Stampa:

La magistratura civile ritiene Stano colpevole di avere ignorato gli allarmi dell’intelligence e sottovalutato il pericolo di una base troppo esposta. Come era già emerso, il Sismi aveva lanciato i suoi warning: il 23 ottobre segnalò «un attacco in preparazione al massimo entro due settimane»: il 25 ottobre mise in guardia da un «camion di fabbricazione russa con cabina più scura del resto»; il 5 novembre avvertì che «un gruppo di terroristi di nazionalità siriana e yementa si sarebbe trasferito a Nassiriya». Scrive la Corte d’appello: «Si deve rilevare l’evidente sottovalutazione di un allarme così puntuale e prossimo».

Il responsabile della base Maestrale, un colonnello dei carabinieri, al contrario, era sempre più allarmato. Chiese di trasferirsi, e gli dissero: vediamo (in effetti il 22 ottobre si disponeva «il progressivo trasferimento verso aree più sicure»). Chiese di chiudere le strade al traffico e gli risposero che così si sarebbe arrabbiata la popolazione, ottenne la riduzione della carreggiata a una sola corsia. Pregò di avere un mezzo corazzato all’ingresso, ma arrivarono prima i terroristi con una cisterna-bomba. E fu un 12 novembre 2003 di sangue.

Al contrario nessuna responsabilità, neppure ai fini civili, può essere mossa al generale dei Carabinieri Georg Di Pauli, il comandante della Base Maestrale, a Nassiriya, sventrata il 12 novembre 2003 da un camion-bomba che uccise 19 italiani (12 carabinieri, cinque militari dell’Esercito e due civili) 14 iracheni e ferì altre 140 persone.

Lo ha stabilito la prima sezione civile della Corte d’appello di Roma, che ha rigettato la richiesta di risarcimento danni dei familiari delle vittime. Di Pauli, comandante del reggimento Msu, è già stato prosciolto definitivamente in sede penale, ma la causa risarcitoria era proseguita in sede civile. Fino al giudizio dell’altro giorno.

“Per la terza volta – sottolineano gli avvocati David Brunelli e Alessandro Scarongella, difensori dell’ufficiale – viene affermata l’assenza di qualsivoglia profilo di responsabilità addebitabile al Gen. Di Pauli, il quale ha fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per dotare la Base del migliore apparato difensivo possibile e, ciononostante, si è visto costretto, negli ultimi quattordici anni, a difendersi dall’accusa ingiusta, prima ancora che infondata, di non aver protetto i suoi uomini”.

Nella sentenza di 22 pagine la Corte d’appello sottolinea come “non possa negarsi la prevedibilità dell’evento” e cita una serie di ‘Punti di situazione’ dell’intelligence che “segnalava, fra le possibili minacce, anche quelle provenienti da attentati con veicoli esplosivi”. Si tratta di segnalazioni eterogenee e non tutte circostanziate, che dunque “non possono essere ritenute una sorta di preavviso rimasto inascoltato, come vorrebbero i danneggiati”, ma pur sempre sono indicazioni in base alle quali “si deve reputare sussistente la concreta prevedibilità dell’evento verificatosi”.

Ma detto questo, stante “l’enorme quantitativo di esplosivo utilizzato” (stimabile in circa una tonnellata), “unica misura idonea a proteggere la base sarebbe stata la creazione di un area di rispetto particolarmente estesa che, per come era collocata la base nel tessuto urbano di Nassiriya, comportava necessariamente la chiusura della strada”. Inutili sarebbero stati “dissuasori, serpentine, bande chiodate”, oppure ‘hesco-bastion’ diversi da quelli posizionati. Piuttosto “sarebbe servito un muro di calcestruzzo armato alto almeno sei-sette metri e di assai consistente spessore”, che però non si sarebbe potuto costruire in quel contesto, anche “tenuto conto della potenzialità delle risorse disponibili”.

La domanda dunque è: è colpa di Di Pauli la mancata chiusura della strada per realizzare un’adeguata area di rispetto? Secondo la Corte d’Appello no. Premesso, infatti, che la scelta di collocare Base Maestrale nel centro di Nassiriya, per meglio perseguire gli scopi della missione, fu “politica” e “non fu adottata da Di Pauli nè era da questi sindacabile”, il comandante dell’Msu “tentò di ottenere la chiusura” della strada dal comandante della missione, ma gli fu concessa “solo la chiusura di una corsia”, anche per non bloccare un’area nevralgica della città, cosa che “avrebbe potuto generare ritorsioni”.

E dunque, scrive la Corte d’Appello, “non può muoversi a Di Pauli un rimprovero in termini di colpa per non aver forzato le gerarchie chiudendo di fatto la strada”, peraltro in un contesto in cui il rischio era “sostanzialmente immutato e qualificato come medio”, senza alcun “drastico innalzamento” a ridosso dell’attentato, giorni in cui non vi furono “warning specifici”. Ultima questione il posizionamento della riservetta di munizioni all’ingresso della base. Secondo la Corte d’Appello allo stato degli atti “non è provato” che la morte o il ferimento delle persone coinvolte nell’attentato “sia stato cagionato anche dai proiettili della riservetta”. “Più in generale – si legge nella sentenza – deve concludersi che l’incauto posizionamento della riservetta non ha avuto efficienza causale, in quanto le tragiche conseguenze dell’esplosione si sarebbero in ogni caso determinate anche ove la stessa fosse stata allocata altrove”.