Internet, Cassazione: dipendente può navigare ovunque, controlli solo su abusi

Pubblicato il 24 Febbraio 2010 - 19:45 OLTRE 6 MESI FA

La navigazione su internet di un dipendente non può essere limitata o spiata, a patto che questi non ne abusi compromettendo l’efficienza lavorativa.

La sezione lavoro della Cassazione, con la sentenza 4375, ha respinto il ricorso della Recordati contro il reintegro di una dipendente che era stata licenziata due volte (il 28 giugno e il 27 settembre 2002) per avere usato internet «per ragioni non di servizio in contrasto con il regolamento aziendale».

La Suprema Corte ha stabilito che è vietato spiare il dipendente in ufficio, che può navigare sul web anche nelle ore di ufficio. Se la navigazione avviene senza farne troppi abusi, il dipendente non può essere licenziato.

Il comportamento di Caterina L. la dipendente licenziata, era stato riscontrato attraverso un controllo informatico disposto dall’azienda farmaceutica. Secondo i giudici si è trattato di un ingiusto licenziamento, dal momento che «era emerso che la durata dei collegamenti, salvo uno, era stata di pochi minuti e che l’accesso ad Internet era avvenuto, non di rado, in pausa pranzo».

Quanto ai controlli aziendali, piazza Cavour ricorda che sono illegali «i controlli diretti ad accertare condotte illlecite del lavoratore quali ad esempio i sistemi di controllo dell’accesso ad aule riservate o gli apparecchi di rilevazione di telefonate ingiustificate». Il controllo deve riguardare solo «l’attività lavorativa». Inutile, dunque, il ricorso della Recordati in Cassazione volto a dimostrare che Caterina L., navigando sul web, «aveva sottratto tempo al lavoro».

Piazza Cavour ha respinto il ricorso e, allineandosi alla decisione della Corte d’appello di Milano del settembre 2005, ha rilevato che i colleghi di merito, «con motivazione congrua e priva di vizi logici, ha rilevato la sproporzione tra addebito e sanzione». Il collegamento ad internet nel periodo di osservazione, infatti, si era verificato «in otto giornate». Inoltre, aggiuge la Cassazione, «i collegamenti potevano essere avvenuti anche in pausa pranzo» senza comportare danni per l’azienda.