Roma. Cassazione sdogana le “cazzate”

Pubblicato il 23 Dicembre 2009 - 16:39 OLTRE 6 MESI FA

L’espressione “è una cazzata” non ha la carica offensiva tale da ledere “l’onore della persona” che se la sente indirizzare. Lo afferma la Corte di Cassazione che sdogana così le “cazzate”, confermando, in seconda sezione, l’assoluzione dall’accusa di ingiuria nei confronti di un 31enne veneziano, Davide S. che, nel corso di una lite condominiale con Giancarlo M., si era rivolto al padre dicendogli: “Papà, andiamo via, abbiamo cose più importanti da fare che ascoltare le sue cazzate”.

Tempo prima, ricostruisce la sentenza 49423, una assemblea condominiale presieduta dal padre di Davide aveva vietato il posteggio delle auto nel cortile e la delibera era stata annullata dal signor Giancarlo. La vicenda era finita in lite e Giancarlo M. aveva accusato Davide di danneggiamento di una vettura, al che il giovane rivolto al padre lo aveva invitato a non stare a sentire quelle “cazzate”. E così all’accusa di danneggiamento si era aggiunta anche quella di ingiuria.  Reati sussistenti a modo di vedere del Tribunale di Dolo che aveva decreto la colpevolezza di Davide S. assolto, invece, da entrambe le imputazioni dalla Corte d’appello di Venezia, nel novembre 2005.

Contro la doppia assoluzione, Giancarlo M. ha fatto ricorso in Cassazione, richiedendo con insistenza che Davide venisse condannato anche per il reato di ingiuria visto che si era permesso di liquidare le sue accuse come “cazzate”. Piazza Cavour ha respinto il ricorso di Giancarlo M. e, allineandosi alla decisione di merito, ha evidenziato che l’espressione era “certamente volgare ma che non era direttamente finalizzata ad offendere” il condomino. “In effetti – osservano ancora i supremi giudici – non appare manifestamente illogica o intrinsecamente incoerente una affermazione che ritenga priva di voluto e diretto contenuto lesivo una frase rivolta ad altra persona e con la quale si indicano come “cazzate” le lamentele formulate da chi chiedeva spiegazioni per fatti illeciti che attribuiva all’autore della frase in oggetto”.

Certamente, annota piazza Cavour, la frase è “irrispettosa e censurabile ma la corte territoriale ha attribuito rilievo al fatto che quella terminologia intendeva descrivere le rimostranze altrui come prive di consistenza e immeritevoli di essere ascoltate oltre”. E non era riferita “alla persona di chi quelle rimostranze formulava, per indicarne la pochezza come persona”.