Vittorio Cecchi Gori: “Mi misero la cocaina in casa, a mia insaputa”

Pubblicato il 23 Marzo 2012 - 10:05 OLTRE 6 MESI FA

Vittorio Cecchi Gori (Lapresse)

ROMA – “Mi hanno incastrato mettendomi la cocaina in casa, a mia insaputa”. Vittorio Cecchi Gori si confessa con Malcom Pagani del Fatto Quotidiano. In una lunga intervista si difende dalle accuse che l’hanno portato al fallimento, fino a un’insinuazione pesante sulla morte di Carlo Bernasconi, socio di Berlusconi implicato nel processo Mills.

Pagani chiede: Cecchi Gori, il giudice che si occupò del fallimento della Fiorentina è stato condannato a 15 anni.

“Si chiama Puliga. Era accusato di corruzione, peculato, abuso d’ufficio, falso, interesse privato in procedure concorsuali e concorso in bancarotta. Interdetto per sempre dai pubblici uffici. Fagocitò la Fiorentina e mi mandò in malora. Le basta? Avevo ragione e ho fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Lì forse mi ascolteranno e forse avrò finalmente un po’ di giustizia. Poi quel che sarà sarà”.

La politica di oggi?

“Noia e disinteresse. Ma Berlusconi non tornerà. Ci scopriamo più sporchi e adesso tutti mi danno ragione. È la peggiore offesa che mi potessero fare. All’epoca eseguii le direttive. Ero l’imprenditore prestato alla politica, non il contrario, come nel disegno berlusconiano. Non ho mai dato una lira a nessuno. Sesso, soldi facili, droga, che lezione ci ha lasciato la politica?”.

La droga la trovarono anche da lei.

“Una barzelletta. Sapendo che sarei stato perquisito secondo lei, nella cassaforte e in bella vista avrei lasciato 4 grammi di cocaina? Ma non scherziamo. Se l’avessi usata non giocherei a tennis tutte le mattine. Ce la misero. E poi, a cagnara mediatica tramontata, in silenzio, mi assolsero”.

Con Berlusconi parla mai?

“Sa chi è davvero Berlusconi? Il giorno del funerale di mio padre Mario, Silvio scrisse una bella lettera, venne al funerale e sostenne persino la bara. La mattina dopo, chiuse d’imperio le società Penta che avevamo costruito insieme. Però. Le racconto una storia. Un giorno mi telefona Bernasconi, mio caro amico, capo di Retitalia, l’uomo che nel processo Mills secondo l’accusa pagò l’avvocato inglese. Siamo nel 2001. Mi disse: “Sono ricoverato al San Raffaele, ma non mi curano”. Era disperato. Contatto immediatamente Berlusconi: “Guarda che l’amico Carlo non sta bene”. Lo trasferirono al Niguarda e gli misero un cuore elettrico. Dopo tre giorni morì”.

Cosa vuole dire?

“Niente di particolare. Mi spiegate cosa è successo realmente a Bernasconi?”.