Chiavari: riaperto il caso sull’omicidio di Nada Cella, fu uccisa nel 1996

Pubblicato il 4 Aprile 2011 - 20:28 OLTRE 6 MESI FA

CHIAVARI – Riaperto il caso della morte di Nada Cella, la segretaria di 25 anni uccisa il 6 maggio 1996 in via Marsala a Chiavari, nello studio del commercialista per il quale lavorava come segretaria. Un omicidio che ad oggi non ha un colpevole, dopo che il commercialista stesso, Bruno Soracco, sul quale a lungo si sono incentrati i sospetti degli inquirenti, è risultato estraneo alla vicenda, con archiviazione del procedimento nel 1997. In contemporanea con gli investigatori che hanno risolto l’omicidio di via Poma e il giallo dell’Olgiata, anche la procura di Chiavari ha deciso di riesaminare il caso.

La mattina di lunedì 6 maggio 1996 Nada Cella, arriva al lavoro in bicicletta. E’ sola in un ufficio, ma successivamente arriva anche il principale. Dopo alcune telefonate, il commercialista entra nella stanza della segretaria poco dopo le nove e trova la giovane distesa a terra, in un lago di sangue. Nada ha la testa fracassata. Trasportata d’urgenza all’ospedale da un volontario della Croce Verde suo amico d’infanzia, non sopravvive ai colpi inferti.

Sul luogo del delitto tutto è in ordine, non ci sono né orme né impronte, non si trova nemmeno l’oggetto con cui la ragazza è stata ferocemente aggredita, un oggetto con uno spigolo vivo. Nello stabile nessuno ha sentito grida o rumori sospetti. A rendere più difficile il lavoro degli inquirenti, l’andirivieni dei soccorritori, i tentativi di rianimazione, i vestiti tagliati con le forbici al pronto soccorso. Quindi non ci fu l’isolamento della scena del delitto, né furono eseguiti rilievi immediati.

La mamma e la zia di Soracco, inoltre, pulirono sia l’ufficio sia le scale, pensando, come spiegarono agli inquirenti, che si fosse trattato di una disgrazia, una caduta. Le indagini si orientano subito in due direzioni: l’ambiente e il passato della vittima, ragazza perbene, tranquilla, riservata, e l’audizione del teste principale, Marco Soracco.

Solo dopo alcuni anni si profila una nuova pista: durante il processo Kanun che vedeva imputati diversi albanesi con l’accusa di associazione per delinquere e una serie di reati legati allo sfruttamento della prostituzione, viene fuori che alcuni di loro frequentavano un fondo nel caseggiato di via Marsala. Si fa strada quindi l’ipotesi che la ragazza potesse aver soccorso una delle giovani schiavizzate dalla banda, oppure possa aver in qualche altro modo ostacolato l’attività dell’organizzazione. Ma ormai, in quell’appartamento, non c’è più nessuno.