Claudio Giardiello, gli amici stretti: “Aveva tanti soldi, in tasca rotoli da 3-4mila€”

di redazione Blitz
Pubblicato il 13 Aprile 2015 - 11:55 OLTRE 6 MESI FA
Claudio Giardiello, gli amici stretti: "Aveva tanti soldi, in tasca rotoli da 3-4mila€"

Claudio Giardiello

MILANO – Claudio Giardiello, l’autore della strage al Tribunale di Milano, “girava con le tasche gonfie di soldi, rotoli di banconote da 3-4 mila euro”. A raccontarlo sono i suoi amici stretti: sono Gildo Gabrielli, 53 anni, proprietario di un’argenteria, Maurino Malvenuti, 54 anni, tassista di notte e Fabio Fanciullacci, 55 anni, ex imprenditore e sedicente inventore. Il primo intervistato da Fabio Poletti per il quotidiano la Stampa, gli altri due raggiunti da Andrea Galli e Gianni Santucci del Corriere della Sera, raccontano le notti piene di soldi, donne e casinò dei bei tempi andati, quando l’amico Claudio era un imprenditore di successo che “guadagnava milioni con una mano sola”.

Il Gildo, il Maurino, il Fabio e il Claudio si erano conosciuti all’ex Club Conti, una palestra di lusso a Corso Como, lì si sudava e si facevano affari con la gente che conta, quella “con i danèe”. Quando Mauro incontrò Claudio per la prima volta ne rimase folgorato: “A me piace la gn… ma quando lo vidi, alto, elegante, raffinato, fossi stata una donna mi sarei innamorata. E avrei fatto pazzie”.

“Anche noi stavamo bene – racconta il tassista – Ma il Claudio di più. Saliva a un livello tale che ti dovevi fermare per forza. Aveva mosso miliardi di lire… Gli anni Novanta… Sia sempre benedetto Craxi. Almeno non s’arricchiva da solo. Mangiavano tutti. Adesso i politici succhiano e basta. All’epoca il lavoro te lo tiravano addosso. Io guadagnavo come se avessi lavorato 380 giorni all’anno… Non è unicamente una questione di crisi: allora c’era un’energia che trascinava. Uscivo da un locale e mi buttavo in un altro, non trovavo mai chiuso un ristorante e quando entravo non mi accoglievano con la faccia smorta. Sorridevano. E le donne… Le donne…”

Nel 2007 la cricca decide di fare un viaggio a Cracovia, ma solo due di loro fanno in tempo ad arrivare in aeroporto a Bergamo e si imbarcano, gli altri perdono il volo. Quella stessa sera si ritrovano tutti e 4 in un albergo a 5 stelle della capitale polacca: “Ma come avete fatto? Non c’erano più voli…”. I due ritardatari, uno era Giardiello, sorrisero compiaciuti: avevano affittato un jet privato. “Claudio – racconta Gildo – aveva un sacco di soldi, forse nemmeno sapeva quanto”.

I tre amici non condividono l’orrore di giovedì mattina al Palazzo di giustizia a Milano ma conservano il ricordo dell’uomo per bene, rovinato dalle “ingiustizie della giustizia italiana”. Erano gli anni dell’agiatezza spensierata, dice Gildo:

 

L’attività gli andava alla grande. Mi aveva portato anche a vedere le villette a schiera che aveva costruito a Legnano. Sette o otto anni fa ha iniziato a lamentarsi. Mi diceva che suo nipote gli fregava i soldi. Che aveva venduto le villette senza dargli niente. “Gildo, mi chiedono i soldi da mettere nella società ma io non ho più niente… Siamo per avvocati ma anche quelli costano…”.

Fabio, ex imprenditore, conosce bene i guai e le difficoltà cui è andato incontro l’amico Claudio:

“Sì, c’è stata Mani pulite. Però le inchieste non hanno spento la vena creativa, la possibilità di investire sapendo che avresti comunque guadagnato a condizione di non essere proprio un pirla. C’erano le opportunità. Claudio le aveva colte. Anche io, per la verità. Ho fatto lo stesso suo lavoro. Costruivo case, le vendevo, reinvestivo. Fin quando è durata. Ho avuto problemi giudiziari. Ero sotto il giogo di uno psicopatico che aveva il potere per schiacciarmi. Ho speso un capitale per gli avvocati, c’ho rimesso in cuore e fegato ma ho vinto, a testa alta. Ora faccio l’inventore. Sto brevettando un nuovo social network. Con una rigida selezione all’ingresso: entra chi ha concetti seri da esprimere, altrimenti la comunità lo caccia. Non è che possiamo sopportare tutto anche su Internet..”

Quando Claudio finì sul lastrico, inseguito dai debiti, i tre amici gli prestarono dei soldi. Dice Gabrielli che gli avevano lasciato anche una macchina per fare il trasloco a Garbagnate Milanese, in quel bilocale dove viveva con una giovane filippina, Soiela Barrion. E poi sono cominciate le paranoie, la rabbia, il delirio:

“Ha iniziato a dirmi che li voleva uccidere tutti. Mi ha fatto l’elenco: il nipote, gli altri soci e soprattutto il commercialista. “Gildo, quello è il peggiore di tutti”. Pensavo che fosse solo uno sfogo. Gli dicevo che così avrebbe passato gli ultimi anni in galera. Invece poteva ricominciare a lavorare, era bravo, ci sapeva fare. “Gildo ma non capisci, quelli mi hanno rovinato, la mia vita è finita”. Era così disperato che ogni tanto mi chiedeva dei soldi. Gli avevo comperato un paio di candelabri di argento, un mobile, per aiutarlo. Una volta mi chiese 800 euro per comperare una pistola. Pensavo che gli servissero ad altro. Poi mi raccontò che quello che gliela avrebbe dovuta vendere, uno di Torino, lo aveva raggirato”.

Erano 4 anni che maturava il disegno criminale di una strage, tra il poligono di tiro e le prove di ingresso al Tribunale. Sempre Gildo riporta:

“Diceva che dopo suo nipote e i suoi soci a rovinarlo ci avevano pensato i giudici. “Gildo hanno messo all’asta il mio ufficio di via Mercato. Vale 2 milioni di euro e l’hanno messo all’asta per 400 mila. Ma come faccio io? Ci vorrebbero dei bravi avvocati, ma quelli costano…”.

Doveva vedere che faccia aveva quando mi chiedeva i soldi. “Gildo non mi aiuta nessuno…”. Era diventato un’ossessione continua. A furia di pensarci per anni poi ha fatto quello che ha fatto. Ma lei lo scriva che Claudio era un brav’uomo. A me dispiace tanto per quello che ha fatto a quelle persone che ha ucciso, alle famiglie che ha rovinato. Ma io non avrei mai pensato che sarebbe stato capace di fare quello che diceva”.