ROMA – Il colonnello della Guardia di Finanza, Omar Pace, si è ucciso con un colpo di pistola nel suo ufficio della Dia a Roma l’11 aprile. Pace avrebbe dovuto testimoniare il 13 aprile nel processo a Reggio Calabria in cui è imputato l’ex ministro Claudio Scajola. Per togliersi la vita Pace ha usato la pistola d’ordinanza e aveva fatto parte del pool di investigatori che aveva condotto, coordinato dalla procura reggina, l’indagine nei confronti di Scajola, imputato per aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena.
Secondo alcune fonti, Pace era caduto in depressione dopo aver perso in poco tempo due familiari molto stretti, ma i motivi del gesto non sono ancora chiari. La Procura di Roma ora indaga sul suicidio e l’uomo lascia una moglie e due figli di 6 e 8 anni. Pace è arrivato nel suo ufficio la mattina di lunedì 11 aprile, intorno alle 6,30, ha chiuso la porta della sua stanza e si è sparato. In quel momento in ufficio non c’era nessuno e a trovare il corpo è stato il suo collega di stanza, dopo aver aperto la porta con una chiave di riserva attorno alle 8.30.
Alla Dia, fino ad alcuni mesi fa, Pace guidava l’ufficio che si occupava dell’analisi delle segnalazioni sospette (Sos). Ma nell’ambito di una riorganizzazione interna, il direttore della Direzione investigativa antimafia Nunzio Ferla aveva disposto una serie di trasferimenti di uomini e di funzioni, che hanno interessato anche il colonnello. Il suo ufficio, infatti, è stato spostato dal secondo al primo reparto e lui trasferito alla sezione antiriciclaggio.
Un incarico che Pace non aveva digerito tanto che, ricordano fonti della Dia, aveva chiesto rapporto al comando generale della Guardia di Finanza per presentare le proprie dimissioni. L’ultima volta che si era affrontata la vicenda era stato venerdì scorso, quando in una riunione il direttore aveva riconfermato i trasferimenti.