FIRENZE – Una commessa di un negozio di telefonia è stata insultata perché mamma. Dopo tante difficoltà la donna è riuscita a concepire due gemelline a 40 anni, ma quando è rientrata a lavoro sono iniziati i problemi. La direttrice del negozio le ha prima “suggerito” di non rientrare, perché era stata sostituita, ed è arrivata a dirle: “Speravo che tu fossi sterile“. Ora la direttrice è stata condannata dalla Corte d’Appello a risarcire la donna per 10mila euro a causa della “discriminazione di genere” subita.
Massimo Mugnaini su Repubblica nell’edizione di Firenze scrive che la donna ha subito minacce e offese per la maternità che tanto aveva desiderato, tanto che alla fine si è licenziata:
“L’episodio chiave ricostruito dal collegio formato dal presidente Giovanni Bronzini e dai consiglieri Gaetano Schiavone e Simonetta Liscio, è del 16 giugno 2010. La commessa è rientrata a lavorare a tempo pieno da tre giorni, orario 15.30-22.10. Alle 10 sua figlia si riempie di macchie rosse sulla pelle. Mentre corre in auto in ospedale la donna chiama la direttrice, le spiega il problema e chiede una sostituzione qualora non riesca a liberarsi in tempo. In auto c’è anche la sorella che sente tutto in vivavoce. «Per colpa tua e dei tuoi figli ho dovuto assumere un’altra persona, se non vieni al lavoro alle 15.30 in punto ti faccio il culo, mi sono rotta i c… di te e dei tuoi figli e non me ne frega un c… se tua figlia sta male – esordisce la sua superiore – procurati una fottuta baby sitter, vendi l’auto se non puoi pagartela, devi rientrare al lavoro di corsa e stai attenta perché questo è l’ultimo avvertimento che ti do». Una volta rassicurata dalla visita pediatrica, la commessa richiama l’azienda per confermare che rispetterà l’orario di entrata e chiede spiegazioni sulla telefonata precedente.
La direttrice, difesa dagli avvocati Marco Tagliaferri e Andrea Bini, rincara la dose: «col tuo atteggiamento da mamma mi offendi, hai rotto con questa malattia, ricordati che ho soldi, conoscenze e potere per rovinarti, non mangio grazie al punto vendita e posso tirare fuori i soldi per farti il culo in due». La commessa attacca. Poi richiama. Sente dirsi: «scordati il part time che mi hai chiesto, devi farti il c… a lavorare dato che sei una super mamma e hai voluto dei figli… vedremo quanto sei dura; ti ho assunto sperando fossi sterile ed è solo grazie alle terapie che me lo hai tirato in c…». Per il giudice di primo grado queste telefonate, confermate da più testimoni, rappresentavano “un deprecabile diverbio”. Per quelli dell’Appello, mobbing puro”.