Coronavirus brucia i polmoni a un 18 enne: glieli trapiantano entrambi. Primo caso in Europa
Pubblicato il 28 Maggio 2020 - 11:25| Aggiornato il 29 Maggio 2020 OLTRE 6 MESI FA
MILANO – Il coronavirus gli aveva completamente bruciato i polmoni, rendendolo incapace di respirare in pochi giorni.
Per questo a un ragazzo di appena 18 anni sono stati trapianti due polmoni nuovi.
L’intervento, il primo del genere in Europa, è stato eseguito dai medici del Policlinico di Milano, sotto il coordinamento del Centro nazionale trapianti, con il Centro regionale trapianti e il Nord Italia transplant program.
Francesco, questo il nome del ragazzo, aveva iniziato ad avere la febbre il 2 marzo e il 6 marzo è stato ricoverato in terapia intensiva all’Ospedale San Raffaele di Milano.
Due giorni dopo è stato intubato e il 23 marzo collegato alla macchina Ecmo per la circolazione extracorporea.
Ma ormai i suoi polmoni erano compromessi irrimediabilmente, e a metà aprile i medici del San Raffaele, confrontandosi con quelli del Policlinico, hanno deciso di tentare di donargli polmoni nuovi.
Ma senza un trapianto non aveva chance di riprendersi, “perché i suoi polmoni erano distrutti” spiega Mario Nosotti, direttore della Scuola di specialità in chirurgia toracica dell’Università di Milano e dell’Unità operativa di chirurgia toracica del Policlinico.
Una cosa mai provata finora, se non in pochi rari casi in Cina e in un singolo caso a Vienna, eseguito pochi giorni dopo l’intervento di Milano effettuato il 18 maggio scorso.
I medici hanno pianificato così la strategia e si è messo in moto anche il Centro nazionale trapianti. Il ragazzo è stato inserito in lista d’attesa urgente il 30 aprile, e meno di due settimane fa la svolta tanto attesa.
Hanno individuato un organo idoneo, donato da una persona morta in un’altra Regione e negativa al coronavirus.
“Il trapianto di polmone è sempre un intervento complesso – spiega Nosotti – ma eseguirlo su un paziente Covid-19 in condizioni così critiche ci ha posto di fronte a sfide inedite”.
La prima, quella di aspettare che il paziente fosse Covid-free, perché non avrebbe avuto alcun senso introdurre organi nuovi con il rischio che il virus li attaccasse nuovamente.
“Abbiamo eseguito diversi test a distanza di giorni. Quando il risultato negativo si è confermato siamo passati alla seconda fase”, dice il medico.
Oggi, il paziente è sveglio e collaborante, segue la fisioterapia e viene lentamente “svezzato” dal respiratore.
“La nostra esperienza prende spunto da quella del professor Jing-Yu Chen dell’ospedale di Wuxi in Cina – racconta ancora Nosotti – che conosciamo personalmente e col quale abbiamo discusso alcuni aspetti tecnici, dal momento che per ovvi motivi si è trovato a fronteggiare il problema prima di noi”.
Nella delicata fase post-operatoria è stato utilizzato anche il plasma iperimmune. (Fonti: Ansa, Corriere).