ROMA – Mentre biologi e ricercatori cercano di risolvere l’incognita rappresentata dal nuovo virus, dal reparto di terapia intensiva di Cremona una paziente ricoverata prova spiegarci con chiarezza cosa il coronavirus non è.
“Questa non è una banale influenza”, racconta Alessandra, 56 anni, operatrice sanitaria di Codogno, epicentro e focolaio del contagio. Da dieci giorni è finita in terapia intensiva, quella che sembrava influenza era invece il temuto virus. Al momento il suo unico collegamento col mondo esterno è il suo cellulare. Dal quale ha inviato dei messaggi di risposta alle sollecitazioni del giornalista del Corriere della Sera.
E’ stata anche molto male, Alessandra. La febbre da due giorni è passata ma ora sono i polmoni ad aver bisogno di aiuto. Notte e giorno è attaccata alla maschera dell’ossigeno.
“Le mie condizioni sono peggiorate- scrive dallo smartphone -. Sono svenuta in due occasioni, sono a letto sotto ossigeno e assumo la terapia mattina e sera, oltre a quella endovenosa fissa”.
Alessandra all’inizio è stata ricoverata in un poliambulatorio di Cremona, “adibito a ospedale da campo con brandine della Protezione civile. Ho fatto lì i primi esami. Quando ho avuto il risultato mi hanno spedita negli infettivi”.
La diagnosi, quello è stato un momentaccio. “Sembrava di stare in un girone dell’inferno. Te lo dicono ma non capisci cosa ti aspetta ed è meglio così. La cura ti ammazza. Piega il tuo corpo, il mal di stomaco con nausea e vomito è lancinante, la febbre ti fa bruciare”. Poi la preoccupazione, non solo per sé: il marito è finito in terapia sub-intensiva, il padre sta aspettando il responso del tampone all’ospedale di Lodi. Non è finita.