Costa Concordia in inglese si diceva London Valour: Genova naufragio 44 anni fa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 4 Aprile 2014 - 07:50 OLTRE 6 MESI FA
Costa Concordia in inglese si diceva London Valour: Genova naufragio 44 anni fa

La London Valour sta affondando: è il 9 aprile del 1970

GENOVA – Costa Concordia  prossimamente demolita a Genova ha evocato memorie di quasi mezzo secolo fa, quelle del naufragio della London Valour, mercantile inglese schiantato sulla diga davanti all’ingresso del porto in una bufera di libeccio.

Dall’archivio della Stampa di Torino, provvidenzialmente digitalizzato e accessibile on line, emerge la cronaca di quel giorno. Il cronista non era male e il racconto un po’ dà ancora i brividi.

Genova, 9 aprile 1970. Scagliata dalla furia del mare contro la diga foranea del porto di Genova, una grossa nave cisterna inglese, la «London Valour », di 15.875 tonnellate di stazza lorda, carica di materiale ferroso, è colata a picco nel giro di due ore, tra le 14,30 e le 16,3d di oggi, all’imboccatura dello scalo: a bordo c’erano 56 marittimi e due donne, mogli del comandante e dell’ufficiale marconista.

Tredici i morti, tra i quali il comandante e le due signore, sette i dispersi, trentaquattro i feriti, alcuni dei quali versano in condizioni preoccupanti perché, ha detto un medico, « oltre al resto hanno anche bevuto in gran quantità la nafta uscita dalle tanke della nave ». La chiazza oleosa si era infatti allargata nel mare circostante.

Quando venivano portati a terra, ì marittimi, allo stremo delle forze, erano completamente irriconoscibili. Parla un testimone «Per la prima volta in quarant’anni ho visto una nave naufragare in questo modo davanti al porto »: è la drammatica testimonianza di Aramis Anelli, uno dei proprietari del quotidiano l’« Avvisatore marittimo », che ogni giorno registra gli arrivi e le partenze delle navi.

Dall’osservatorio del Poggio della « Giovine Italia », Aramis Anelli ha assistito al naufragio: con lui, decine di migliaia di genovesi hanno vissuto, col cuore in gola, l’affondamento della «London Valour» minuto per minuto appoggiati alle ringhiere di corso Aurelio Saffi e corso Italia, o affacciati alle finestre delle case prospicienti il porto.

Il traffico è rimasto intasato per l’intero pomeriggio: in gran parte della città potevano circolare soltanto le ambulanze, che, a decine, facevano la spola tra Molo Giano, in porto, piazzale Kennedy (improvvisato centro di soccorso alla Foce) e l’astanteria dell’ospedale dì San Martino. Le sirene laceranti provocavano ogni volta un brivido nella folla.

Le ore del dramma. «Erano le 14,15 — ha raccontato Aramis Anelli — quando si è levata una fortissima raffica di vento, che ha radicalmente capovolto la situazione meteorologica». Fino a mezzogiorno, infatti, il mare era stato leggermente mosso. Poi si erano alzate le prime ondate: un paio d’ore dopo, con l’aumentare del vento, è cominciata la mareggiata. Le raffiche di libeccio hanno raggiunto ben presto velocità straordinarie, fra i 28 e i 34 nodi (cioè tino a 60 chilometri orari): il mare intanto cresceva di intensità, raggiungendo forza sei-sette, una delle massime.

«E’ stata la forza del vento, probabilmente — ha aggiunto Aramis Anelli — che ha fatto “arare ” l’ancora della nave, cioè l’ha fatta scivolare sul fondo… La “London Valour ” ha cominciato a scarrocciare, dirigendosi col fianco destro verso la diga: ho visto benissimo che a bordo hanno cercato di avviare i motori e spingerli al massimo: quando però le eliche hanno cominciato a girare, era troppo tardi, la nave era già finita contro la scogliera di grossi macigni che protegge il lato esterno della diga foranea ».

La nave si è incagliata proprio all’estremità orientale del molo, sotto il faro che segnala l’imboccatura del porto. Nel giro di due ore si è svolta l’agonia seguita dall’affondamento.

La « London Valour » aveva lasciato il porto russo di Novorossisk, nel Mar Nero, con un carico di 23 mila tonnellate di materiale ferroso destinato all’Italsider. La nave, una cisterna costruita nel 1956 in un cantiere inglese, apparteneva alla compagnia armatrice «London and Overseas Freighters»: era giunta a Genova due giorni fa, alle dieci di mattino del 7 aprile. Non c’era posto al pontile dell’Italsider e la nave doveva attendere il proprio turno in rada.

Accanto c’erano altre quattro navi, tutte con bandiera estera, le quali, al momento del naufragio, hanno preso rapidamente il largo portandosi al riparo dalle fortissime raffiche di libeccio a ridosso dei monti savonesi, nella rada di Vado Ligure. L’allarme è giunto all’ufficio marittimo del Consorzio del porto di Genova poco dopo l’arenamento: lo ha dato il guardiano del faro.

Subito si è messa in movimento la macchina dei soccorsi. Mentre l’elicottero dei vigili del fuoco, pilotato dal capitano Rinaldo Enrico, si levava in volo, dal porto salpavano tredici rimorchiatori e numerose motovedette e pilotine. Intanto a molo Giano e a piazzale Kennedy si raccoglievano decine di ambulanze.

All’ospedale di San Martino veniva organizzato un servizio di emergenza con attrezzature per trasfusioni e tende ad ossigeno. Una quarantina di medici e un centinaio tra infermieri e barellieri si raccoglievano in breve al pronto soccorso: in pochi minuti i naufraghi venivano trasbordati dalle barelle delle ambulanze ai lettini a rotelle e da questi (lasciandovi larghe chiazze di nafta) a quelli del centro di medicazione.

L’agonia della «London Valour» era intanto cominciata; ondate altissime la flagellavano e poi investivano con estrema violenza la diga foranea, scavalcandola. Intorno alla nave si raccoglievano tredici rimorchiatori e due motovedette, motoscafi d’alto mare, imbarcazioni di ogni genere. C’era anche una lancia, calata dal transatlantico « Enrico C. », ormeggiato in porto e costretto a rimandare la partenza a causa della mareggiata.

Alla tragedia, il grande Fabrizio De Andrè, un genovese doc, ha dedicato una canzone sull’album “Rimini” del 1978, che si intitolava “Parlando del naufragio della London Valour”:

Il testo del brano era molto difficile e come spiega Wikipedia

“Si tratta di un testo arduo, nel quale il ricordo della tragedia e dei suoi protagonisti è espresso in modo da potervi scorgere addirittura metafore di natura storica e politica”.

Eccolo completo qui di seguito:

“I marinai foglie di coca digeriscono in coperta
il capitano ha un amore al collo venuto apposta dall’Inghilterra
il pasticcere di via Roma sta scendendo le scale
ogni dozzina di gradini trova una mano da pestare
ha una frusta giocattolo sotto l’abito da tè.

E la radio di bordo è una sfera di cristallo
dice che il vento si farà lupo il mare si farà sciacallo
il paralitico tiene in tasca un uccellino blu cobalto
ride con gli occhi al circo Togni quando l’acrobata sbaglia il salto.

E le ancore hanno perduto la scommessa e gli artigli
i marinai uova di gabbiano piovono sugli scogli
il poeta metodista ha spine di rosa nelle zampe
per far pace con gli applausi per sentirsi più distante
la sua stella sì e oscurata da quando ha vinto la gara del sollevamento pesi.

E con uno schiocco di lingua parte il cavo dalla riva
ruba l’amore del capitano attorcigliandole la vita
il macellaio mani di seta si è dato un nome da battaglia
tiene fasciate dentro il frigo nove mascelle antiguerriglia
ha un grembiule antiproiettile tra il giornale e il gilè.

E il pasticciere e il poeta e il paralitico e la sua coperta
si ritrovarono sul molo con sorrisi da cruciverba
a sorseggiarsi il capitano che si sparava negli occhi
e il pomeriggio a dimenticarlo con le sue pipe e i suoi scacchi
e si fiutarono compatti nei sottintesi e nelle azioni
contro ogni sorta di naufragi o di altre rivoluzioni
e il macellaio mani di seta distribuì le munizioni”.