Costa Concordia, sentenza: “Schettino? Inchino fu criminale. I 32 morti colpa sua”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Luglio 2015 - 17:56 OLTRE 6 MESI FA

GROSSETO, 13 LUG – Nelle motivazioni della sentenza di condanna dei giudici di Grosseto c’è scritto che l’allora comandante della Costa Concordia Francesco Schettino, quando salì “sulla scialuppa per abbandonare la nave” sapeva che “c’erano altre persone a bordo della nave”. Nella sentenza si spiega che il comandante condannato in primo grado a 16 anni di reclusione abbandonò la Concordia “per mettersi in salvo con la precisa intenzione di non risalirvi”. “Nel momento in cui l’imputato lasciava definitivamente la Concordia”, la situazione era tale “da rendere impossibile, o comunque difficile”, per i passeggeri ancora a bordo “trovare la salvezza”. 

“I 32 decessi delle persone a bordo della Concordia non si sarebbero verificati se” l’allora comandante Francesco Schettino “avesse gestito l’emergenza con perizia e diligenza”, attenendosi alla normativa indicata come “doverosa” in una simile situazione.

Con il comandante dell’autorità marittima Gregorio De Falco Schettino “improvvisava, raccontando un film che scorreva solo nella sua immaginazione”, trattando lo stesso De Falco “alla stregua di un duellante nell’Imprò”, scrivono i giudici paragonando Schettino a un attore dell’improvvisazione. “Quelle menzogne risultano oltraggiose nei confronti delle centinaia di persone rimaste intrappolate” e, continua la corte, ancor più verso “coloro non ce l’avrebbe fatta”.

“La scelta dell’inchino fu criminale”. “La scelta, si passi il termine, criminale è stata quella a monte di portare una nave, con quelle caratteristiche e a quella velocità, così in prossimità dell’isola”. Lo scrivono i giudici parlando dell’inchino nella sentenza con cui è stato condannato Francesco Schettino. “La responsabilità del naufragio è pertanto di Schettino

“Con l’inchino si sopravvalutò”. Schettino “sapeva benissimo della presenza incombente degli scogli” ma era “sicuro di poter condurre l’azzardata manovra con tranquillità”, sopravvalutando le “sue abilità marinaresche”. Lo scrivono i giudici del tribunale di Grosseto parlando dell’inchino. Schettino, aggiungono i giudici, decise di farlo non per ragioni commerciali né per omaggiare l’ex comandante Mario Palombo, ma “per fare un piacere” al maitre Antonello Tievoli “e per omaggiare alcune persone che, non a caso, ha fatto salire in plancia per ammirare il paesaggio assai ravvicinato alla costa”.

Quando Schettino torna in plancia, ricostruiscono i giudici, c’erano Tievoli, “destinatario dell’inchino” e l’hotel director Marrico Giampedroni, “invitato da Schettino”. Con Schettino “entrano in plancia Ciro Onorato e la signora Cemortan, la quale tuttavia rimane in disparte”, aggiungono i giudici. Schettino aveva cenato con Domnica, ricordano i giudici: “Aveva prenotato un tavolo per due persone”. Durante la cena aveva chiesto di rallentare la velocità della nave per “ritardare l’inizio dell’accostata” perché voleva “avere il tempo per finire con tranquillità la cena, come riferito dalla stessa Cemortan” che – ha raccontato a processo – stava finendo il dessert. La “vera intenzione del comandante era “effettuare un passaggio radente davanti al porto, dove si trova la casa di Tievoli”: lo scopo era “stupire non solo il comandante Palombo”, con cui non aveva un rapporto idilliaco, “ma i suoi ospiti fatti salire per l’occasione sulla plancia”.