Cucchi, consulenti parte civile: “Morte traumatica, altro che malnutrizione”

Pubblicato il 13 Marzo 2013 - 17:53| Aggiornato il 29 Settembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La morte di Stefano Cucchi, il geometra di 31 anni fermato a Roma il 15 ottobre 2009 per droga e deceduto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini della capitale, è di “origine traumatica”. Lo sostiene Gaetano Thiene, Ordinario di Patologia cardiovascolare all’Università di Padova, nel processo sulla morte di Cucchi, in corso davanti alla III Corte d’assise di Roma, e che vede imputati sei medici, tre infermieri e tre agenti penitenziari.

“C’è confusione nella perizia dei tecnici incaricati dalla Corte – ha sostenuto Thiene – dicono che l’inanizione ha portato alla morte Stefano, ma la sua è stata una morte improvvisa, inaspettata, avvenuta nel sonno”. Secondo l’accusa Cucchi sarebbe stato ‘pestato’ nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell’udienza di convalida del suo arresto per droga, e in ospedale ‘abbandonato’ dal personale sanitario. ”Questo è un caso cardiologico – ha aggiunto Thiene, chiamato come consulente di parte civile – Già il 17 ottobre 2009 il tracciato elettrocardiografico era allarmante e mi sorprende che Stefano non sia stato portato in una unità di terapia intensiva per il monitoraggio”.

Confermata poi da parte del consulente quella ‘cascata’ di eventi che portarono alla morte il giovane (dal trauma subito, all’emorragia sacrale, e fino alla ritenzione enorme di urina); tesi contestata in precedenza dai periti della Corte, secondo i quali il giovane morì per malnutrizione. ”Come può un paziente morire in 5 giorni perché non ha mangiato? Saremmo tutti a rischio”, ha aggiunto il prof Serviddio, altro consulente di parte civile. ”Nella catena causale che abbiamo ricostruito – ha detto il prof. Vittorio Fineschi – è pacifico che l’origine di tutto sia stato il trauma subito da Cucchi. Doveva essere monitorato continuamente, necessitava di un aiuto psicologico. Una frattura al sacro come quella diagnosticata necessitava un ricovero e un monitoraggio più attento”.