Torino: uccide prostituta nigeriana e ci scrive sopra un libro. Arrestato

Pubblicato il 21 Agosto 2012 - 13:14 OLTRE 6 MESI FA
Iconografia romantica: cadavere di donna sul letto del fiume, delitto d’amore nell’interpretazione della coppia Cave/Minogue

ROMA – Prima l’omicidio di una giovane prostituta nigeriana, quindi la sfida agli inquirenti, un libro per raccontarne, con qualche dettaglio romanzato, la verità inconfessabile. Se sono vere le accuse a carico di Daniele Ughetto Piampaschet, 34 anni di Giaveno, aspirante scrittore e presunto assassino. I carabinieri di Torino lo hanno arrestato, sono convinti che sia stato lui a gettare il corpo della giovane Anthonia Egbuna nel Po, dopo averla finita a furia di coltellate. Anthonia di cui si era innamorato. Quel corpo il fiume lo ha restituito a San Mauro Torinese dove qualcuno lo ha ripescato. Di sicuro c’è un manoscritto di Piampaschet che confermerebbe la tesi accusatoria.

Al centro la storia di una passione amorosa identica, seguita da un delitto praticamente uguale, se non fosse per la scelta dell’arma. “La rosa e il leone”, il suo manoscritto, adesso è la più compromettente prova a suo carico. Vi si legge, nel momento cruciale: “Salì in macchina e raggiunse rapidamente la vecchia casa di campagna. Rovistò nel fienile in mezzo alla paglia. Afferrò un fucile da caccia insieme alla cartucciera e tornò da Anthonia”.

Agghiacciante: la finzione letteraria si incarica di smentire se stessa disseminando la scena del crimine dei particolari più veri, più intimi. A partire dal nome, Anthonia. Troppe ombre, troppi dubbi aleggiano su questo strano delitto, bisognerà aspettare il processo. Ma, intanto, i clamorosi indizi ci raccontano il doppio omicidio di un giovane che cancella l’oggetto del suo amore, della realtà che ferisce a morte l’immaginazione. L’arresto di Piampaschet, avvenuto, giovedì scorso, per il pericolo di fuga e di reiterazione del reato, è stato convalidato. Deve rispondere delle accuse di omicidio volontario premeditato e occultamento di cadavere.

L’iconografia letteraria romantica è piena di queste murder ballads. Il cadavere di una giovinetta che galleggia tra i flutti, la lucida disperazione dell’amante sulla riva del fiume. Nella gestione romanzata o poetica del “male” è la letteratura che imita la realtà o sono gli assassini a trarre ispirazione dalle creazioni letterarie? E’ un’antica questione culturale, forse anche un po’ oziosa: ma in quale casella della follia umana inserire il romanziere in erba che si procura un omicidio quale presupposto narrativo?

Gli psicologi ci diranno che la sfida non è altro che l’insopprimibile desiderio di autoaccusarsi, del sopravvento del senso di colpa, mascherato da noir. Se il magistrato ci ha visto giusto, Piampaschet è un assassino. E, soprattutto non è uno scrittore. A memoria, il massimo della fantasia giallista fu raggiunta dall’Agatha Christie de “L’assassinio di Roger Ackroyd” dove lo scrivente era anche l’assassino. Colpo di scena, effetto riuscito, ma la scrittrice in carne ed ossa non era un uomo.