Diego Turra, poliziotto morto. La moglie “Lavorava troppo”. Gli amici: “Non strumentalizzatelo”

di Alessio Rossini
Pubblicato il 8 Agosto 2016 - 13:19 OLTRE 6 MESI FA
Diego Turra, poliziotto morto. La moglie "Lavorava troppo". Gli amici: "Non strumentalizzatelo"

Lo sfogo di Danila, vedova del poliziotto Diego Turra, raccolto dal Secolo XIX

VENTIMIGLIA – Dopo la morte di Diego Turra, poliziotto di 53 anni stroncato da un infarto durante scontri con i No Borders a Ventimiglia, la moglie Danila ricorda che lavorava troppo e chiede più tutela per i poliziotti nelle sue condizioni, mentre gli amici di Diego chiedono di non strumentalizzare la sua morte a fini razzisti: lui “era dalla parte dei più deboli”. Lo sfogo della moglie e il ricordo degli amici sono stati raccolti da Federica Pelosi per il Secolo XIX:

«I colleghi mi hanno detto che stavano scendendo tutti dal furgone e che lo hanno visto accasciarsi al suolo senza dare più segni di vita: non si può morire così, e per di più mentre si è in servizio» dice Danila […]

«Non era la prima volta che andava in missione al confine, e ogni volta tornava stanco, sotto stress – racconta la donna, ecuadoriana d’origine e da nove anni in Italia dove aveva sposato il suo «grande amore», come lo definisce lei – Lavorava molto, accumulava straordinari, e per cosa? Per vederseli riconosciuti giusto a fine anno? Voglio lanciare un appello ai sindacati: dovete tutelare una categoria che lavora, anche rischiando la vita, per pochi soldi al mese. Dovete assicurarvi che operi in condizioni accettabili, e non facendo il giro dell’orologio. Non so cosa sia successo al mio Diego, ma nessun altro poliziotto deve morire così».

Il dolore prende il sopravvento, e Danila vorrebbe solo tornare a giovedì, quando lo ha visto per l’ultima volta: «Oggi lo chiuderei in casa impedendogli di andare: ma lui era così, generoso e altruista». Un altruismo che, due anni fa, lo aveva convinto a lasciare il lavoro d’ufficio e a chiedere di poter tornare in strada, per sentirsi di nuovo utile: «Io ero contraria, ma lui ha insistito – continua la cinquantatreenne ecuadoriana – Qualche giorno fa era tornato da Ventimiglia con il polso dolorante: mi ha raccontato che, per l’ennesima volta, un profugo si era ribellato all’identificazione. Lui diceva che non sono cattivi, ma che hanno solo paura che venga fatto loro del male: sono molto forti, a volte devono intervenire anche tre poliziotti per calmarne uno. Ma mai una sola parola contro di loro: sono povera gente, diceva sempre».

Diego e Danila si sono conosciuti 12 anni fa, un Capodanno in Spagna: il 13 ottobre avrebbero festeggiato 9 anni di matrimonio. Vivono con due dei 6 figli di lei, Mariela, 24 anni, e Belen, 20: entrambe lo chiamano “papà”. «Nostro padre non ha mai fatto quello che Diego ha fatto per noi» dicono. Sabato sera è stata Belen ad aprire la porta ai poliziotti che hanno portato la notizia peggiore che potessero darle: «Ero sola in casa, così mi sono precipitata a chiamare la mamma: appena è arrivata, ha capito. Siamo distrutte» dice.

Il poliziotto Turra, 53 anni e una stazza che non passava inosservata, da qualche tempo aveva qualche problema di pressione alta: «Ma nulla di allarmante – precisa Danila – Certamente era stanco, lavorava molto. Bisogna difendere chi, a sua volta, si impegna per difenderci tutti».

Era un uomo dalle mille contraddizioni, Diego Turra, l’agente albenganese morto per un malore a Ventimiglia. Dall’aspetto semplice e un po’ rude perfino, ma di una cultura smisurata che non ha bisogno di lauree altisonanti per saltare agli occhi; dalla divisa che può incutere soggezione ma che non è mai stata una barriera tra lui e “gli altri” e anzi veniva onorata con un’umanità fuori dal comune.

«Per questo mai e poi mai avrebbe voluto che la sua morte venisse strumentalizzata dalla politica, come purtroppo sta accadendo, né un mezzo per poter giustificare sentimenti razzisti: lui era sempre dalla parte dei più deboli». A descriverlo è Luciano Rovelli, uno dei tanti amici e tifosi ingauni della Samp che, con Diego, condividevano una fede calcistica che li portava ogni domenica in trasferta per seguire le imprese dei blucerchiati.

Sul pullman Diego contagiava tutti con la sua allegria innata. «Una persona d’altri tempi, un puro, un idealista» aggiunge l’amico Andrea Lupi. Già a 14 anni Diego diceva a tutti che avrebbe voluto fare il poliziotto. Come il papà, agente della Polstrada ad Albenga e scomparso anni fa.

Molti i lutti nella sua vita: anche quello della mamma, un anno fa, e soprattutto del fratello Mirko, scomparso troppo presto, a 39 anni, e a cui l’Albenga Calcio, di cui era tifoso, ha portato avanti la memoria. Diego era sposato da 10 anni con Daniela, dell’Ecuador, e dopo aver vissuto ad Albenga abitava ora ad Alassio, anche con le due figlie di lei.

Non parlava del suo lavoro: con gli amici voleva solo svagarsi e pensare alla sua Sampdoria. «Era uno che voleva bene a tutti, non l’ho mai sentito parlar male di nessuno: ora che non gli si faccia del male strumentalizzando la sua morte: Diego non lo merita» è l’appello degli amici.

La morte. Secondo quanto finora ricostruito, Turra stava scendendo da un mezzo di servizio quando è stato colto da malore. Tutto avrebbe avuto inizio quando i No Borders hanno iniziato a avvicinarsi al Parco Roja. […] È stato allora, secondo la ricostruzione, che Turra è sceso dal mezzo venendo colto da malore. Portato d’urgenza in ospedale è spirato poco dopo.