Ci si può dimenticare un figlio in auto? Troppo stressati o poco responsabili

Pubblicato il 5 Giugno 2013 - 11:27 OLTRE 6 MESI FA

ambulanzaPIACENZA – Ci si può dimenticare di un bambino, il proprio bambino? E’ possibile che l’umanissima dimenticanza del proprio figlio, magari addormentato e quindi silenzioso nel suo seggiolino, si prolunghi da qualche frazione di secondo a otto ore? E’ possibile che in un’intera giornata lavorativa, fatta di pratiche da sbrigare, telefonate, chiacchiere coi colleghi alla macchinetta, il pensiero di Luca o Jacopo o Maria non si affacci nemmeno un secondo a livello della coscienza? E’ colpa dello stress? E’ colpa di una enorme lacuna di responsabilità, sempre più frequente?

Impossibile non farsi queste domande dopo l’ennesimo caso di cronaca: Luca, due anni, dimenticato in auto dal papà Andrea. Otto ore sotto il sole a Piacenza. Otto ore, il tempo di una giornata di lavoro. Poi, il nonno che pensava di trovarlo come ogni giorno all’asilo non lo trova, le maestre non ne sanno nulla, non l’hanno visto, pensavano fosse malato. La telefonata alla figlia: ma come, Luca è uscito col papà come sempre, come ogni giorno, è all’asilo accanto all’azienda, dove altro può essere? Poi la telefonata al papà, e la lampadina che si accende: Luca è in macchina. I colleghi raccontano che Andrea a quel punto è uscito correndo verso la sua auto. La polizia e i medici dell’ambulanza hanno trovato bottigliette d’acqua vuote: Andrea e i colleghi hanno provato a salvare quel corpo disidratato. Ma niente, Luca era già morto. Come addormentato nella macchina di papà.

Impossibile resistere al tentativo di dare una spiegazione: forse Andrea era un “cattivo” papà, era un irresponsabile? Magari si drogava o beveva? Niente di tutto ciò dalle prime analisi. Andrea era un papà come la maggior parte: amorevole, onesto, attento, nessuna abitudine malsana. Ed ecco che la storia di Andrea diventa la storia che potrebbe capitare a tanti papà e a tante mamme. Se fosse stato un alcolizzato quell’incidente avrebbe avuto una spiegazione, e invece quel buio della coscienza può capitare a chiunque.

Lo psicanalista Vittorio Lingiardi, intervistato da Repubblica, non ci mette al riparo da quel dubbio terribile: potrebbe succedere anche a me? La risposta è sì: può succedere perché lo stress e la vita monotona possono mandare il cervello in tilt. Le preoccupazioni sul lavoro che assorbono, unite al fatto che ogni giorno ripetiamo meccanicamente le stesse azioni e gli stessi tragitti, possono creare il mostro. “Sicuramente non aiuta vivere in una società che ci costringe a essere multitasking, a funzionare come un computer aperto su dieci finestre contemporaneamente, ciascuna ricolta a un compito”, dice Lingiardi.

Quanto conta lo stress e quanto la responsabilità individuale? Succede più ai papà o più alle mamme? Colpa di una vita troppo concentrato su di sé e sul lavoro? Le domande sono fin troppe e la risposta non è facile né scontata. Di sicuro questo papà, fino a ieri un normalissimo e bravo papà, se le farà a vita. La morte del figlio ha anche un risvolto penale per lui: il giorno dopo è stato indagato per omicidio colposo. E la sensazione è che la risposta “è colpa dello stress” non assolve del tutto né questo papà, né tutti noi, madri, padri, figli, fratelli troppo presi da troppi pensieri, multitasking come computer, vulnerabili come esseri umani in cui una dimenticanza può durare ore ed essere fatale.