Elena Ceste, Michele Buoninconti condannato a 30 anni

di redazione Blitz
Pubblicato il 4 Novembre 2015 - 18:09| Aggiornato il 5 Novembre 2015 OLTRE 6 MESI FA
Michele Buoninconti condannato a 30 anni

Michele Buoninconti si reca in Tribunale

ASTI – Condanna a 30 anni per Michele Buoniconti, unico imputato al processo per l’omicidio e occultamento del cadavere di sua moglie, Elena CesteIl giudice Roberto Amerio ha accolto le tesi dell’accusa, che aveva chiesto il massimo della pena nel processo di primo grado col rito abbreviato.  Il giudice Amerio ha anche assegnato un risarcimento di 300mila euro per ciascuno dei quattro figli, di 180mila euro per i genitori e la sorella, e di 50 mila euro per il cognato. 

Buoninconti, si è sempre professato innocente. Lo ha ripetuto più volte anche questa mattina, prima che i giudici si riunissero in Camera di Consiglio per deliberare. “Elena è morta per una tragica fatalità – ha ribadito l’uomo in una dichiarazione spontanea dinanzi alla corte- sono vittima di un errore giudiziario. Sono innocente”.

“Signor Giudice, io mi trovo davanti a lei senza un motivo vero, non c’è alcuna certezza che mia moglie sia stata uccisa e la procura non può provarlo, né ora, né mai, semplicemente perché non è accaduto. Ci vogliono le prove per condannare un uomo – ha aggiunto leggendo un testo di cinque pagine – e la procura non le ha perché non esistono, non si può trasformare a piacimento un innocente in un colpevole, tra l’altro, di un omicidio che non c’è stato.

Elena delirava e sentiva le voci quella notte e si picchiava in testa – ha sostenuto l’uomo – non me lo sono inventato, questa crisi psicotica si ascrive perfettamente nel quadro dei suoi disturbi precedenti, quei disturbi di ottobre e novembre, li chiami crisi psicotica come l’accusa o pensieri ossessivi persecutori come la consulente della difesa”.

Buoninconti si è poi soffermato su quel 24 gennaio 2014, giorno della scomparsa di Elena Ceste.

“Quella mattina con i miei figli ho lasciato Elena a casa verso le 8.10 e, circa 35 minuti dopo, Elena non c’era più e la casa era nelle stesse condizioni in cui l’avevo lasciata, nonostante Elena fosse rimasta per fare le faccende domestiche – ha detto – Secondo lei mia moglie rimase in casa 35 minuti senza fare niente o si allontanò subito dopo che la vide la signora Riccio in cortile, come vuole la logica? Se Elena fosse rimasta in casa, avrebbe rifatto tutti i letti e sistemato la cucina, di sicuro non avrebbe perso tempo, sapendo che avrebbe dovuto sistemare la casa, recarsi dal dottore e preparare il pranzo per sei persone.

Elena non stava bene, per questo non accompagnò i bambini a scuola quella mattina, per questo saremmo dovuti andare dal dottore e per questo si allontanò – ha ancora detto al riguardo – Elena era vestita di tutto punto con abiti che profumavano di pulito ed era solita farsi la doccia alla sera. Quella mattina, Signor Giudice, Elena non si fece la doccia, non la trovai nuda e non la uccisi, è un’accusa falsa ed infamante e priva di fondamento”.

Il vigile del fuoco ha anche letto un passo della Bibbia, la storia di Susanna dell’Antico Testamento, e si è commosso quando ha ricordato i figli. Gli avvocati della difesa, Enrico Solari e Giuseppe Marazzita, Buoninconti prima della sentenza hanno specificato: “Abbiamo sollevato molti dubbi sui rilievi effettuati, sulle celle telefoniche, sul terriccio ritrovato sui vestiti di Elena e sulle condizioni psichiatriche della donna”.

Elena Ceste, scomparsa a gennaio 2014 fu ritrovata morta in un canale, poco distante dalla sua casa, nove mesi dopo. A dare l’allarme era stato lo stesso marito che raccontò alla polizia di non aver più visto la moglie. La svolta arrivò col rinvenimento del cadavere. Secondo l’autopsia la donna sarebbe morta in modo violento, non accidentale. Di qui l’ipotesi di omicidio. Resta da capire se Elena sia stata trasportata nel canale dopo la morte o se sia stata uccisa sul posto.

Il marito viene arrestato alcuni mesi dopo. Il 29 gennaio 2015. Per la Procura Michele Buoninconti avrebbe strangolato la moglie e avrebbe “agito con premeditazione rappresentata dall’avere programmato e pianificato il delitto con perdurante volontà omicida, frutto di ferma e irrevocabile risoluzione criminosa”. Il Tribunale di Asti ha accolto tale tesi.