Equitalia, tassa non pagata: non era un bimbo ma un omonimo

di Corinna Campanile
Pubblicato il 2 Novembre 2015 - 08:40| Aggiornato il 14 Marzo 2017 OLTRE 6 MESI FA
Equitalia, tassa non pagata: non era un bimbo ma un omonimo

(Foto d’archivio)

ALESSANDRIA – Non era un bambino di dieci anni ma un omonimo di 71 anni: a lui Equitalia contestava ad otto anni 170 euro di tassa di concessione governativa mai pagata per un’utenza telefonica H3G. La precisazione arriva dalla stessa H3G, che corregge l’articolo de La Stampa e de Il Secolo XIX che anche BlitzQuotidiano aveva ripreso.

Spiega H3G:

“Il presupposto che ha generato la richiesta di pagamento della tassa di concessione governativa è un’utenza di H3G regolarmente intestata ad una persona maggiorenne, omonima del bambino e residente ad Alessandria, che ha omesso di pagare canoni  alla nostra Società e la tassa in questione dovuta al fisco. Non vi è stato alcun errore da parte di H3G nelle operazioni di attivazione e di attribuzione del codice fiscale o delle generalità del cliente maggiorenne, precisando che il codice fiscale intestato al minorenne non è mai transitato nei nostri sistemi. Riteniamo che l’accaduto sia da imputarsi ad un errore materiale nel sistema di trascrizione dei dati – relativi al cliente moroso nei confronti del fisco – che H3G ha invece correttamente trasmesso all’Agenzia incaricata della riscossione della tassa”.

 

Nello stesso articolo di BlitzQuotidiano avevamo spiegato che si trattava di un caso di omonimia a causa del quale il bambino in questione e, soprattutto, i suoi genitori per otto anni hanno cercato di risolvere la situazione di morosità in cui si trovava involontariamente il loro piccolo.

La storia inizia nel 2007, quando il bambino ha due anni. A casa arriva una lettera di Equitalia in cui si dice che il bambino sarebbe moroso nei confronti della società H3G per una una tassa di concessione governativa non pagata. In tutto sono 170 euro, ma i genitori del piccolo contestano il principio: l’errore è talmente evidente che, pensano, basterà una telefonata per sciogliere l’equivoco. E invece no, si ritrovano invischiati, da 8 anni, nella burocrazia. Chiamano la società di telefonia e vanno anche in un punto vendita. Ma loro non sono responsabili e non sanno come aiutarli. Il contratto telefonico risultava intestato a un uomo nato nel 1944 e che ha lo stesso nome del bambino protagonista di questa storia. A quel punto i genitori si rivolgono a Equitalia e all’Agenzia delle Entrate, ma vengono puntualmente rimbalzati dall’una all’altra. A quel punto resta la denuncia per furto di identità. Ma nemmeno quella è servita. Un giorno le mandano a casa l’ufficiale giudiziario che chiede di vedere il bambino. Alla fine, di fronte all’evidenza, pare che la situazione si sia risolta.