Così l’indagine su Milanese “partorì” l’inchiesta Berlusconi-Lavitola

Pubblicato il 29 Settembre 2011 - 18:46 OLTRE 6 MESI FA

NAPOLI – Si indagava su Marco Milanese ed è saltato fuori l’affare Berlusconi-Lavitola-Tarantini. Gli atti trasmessi nei giorni scorsi dalla procura di Napoli a Roma riguardanti l’inchiesta sulle presunte somme di denaro erogate da Silvio Berlusconi a Valter Lavitola e Gianpaolo Tarantini, rappresentano infatti uno stralcio di un’inchiesta più ampia. L’indagine su Lavitola e Tarantini è scaturita dalle intercettazioni predisposte nell’ambito del procedimento che ha coinvolto il parlamentare Marco Milanese.

Cosa accadrà allora agli altri filoni d’inchiesta aperti sulla base delle conversazioni intercettate, in primis quelle sulle commesse estere di Finmeccanica? L’esistenza di un’indagine da parte della Procura di Napoli si apprese proprio nell’ambito dell’inchiesta Lavitola-Tarantini, dalla lettura di alcuni passaggi dell’ordinanza di custodia e, in particolare, in relazione a una richiesta di proroga delle intercettazioni.

Esiste ”la pratica, da parte dei rappresentanti delle società di Finmeccanica – si sottolinea nell’ordinanza -, di corrompere i rappresentanti dei governi esteri per potersi aggiudicare le gare”. L’attenzione sarebbe concentrata soprattutto sulla vendita di armamenti nei paesi dell’America Latina e sul ruolo di intermediario di Lavitola.

Per quanto riguarda le dichiarazioni fatte mercoledì dal direttore de “L’Avanti” alla trasmissione di La7 “Bersaglio mobile”, nessun commento da parte dei magistrati che si occupano dell’inchiesta. Dai pochi commenti trapelati, agli inquirenti partenopei appare assai poco credibile, tra l’altro, la circostanza riferita da Lavitola secondo la quale sarebbe stato lui ad anticipare parte dei 500 mila euro a Tarantini, una somma che Berlusconi a suo dire gli stava restituendo a rate.

Ai magistrati la versione non convince sia sul piano logico (pare anomalo infatti che Berlusconi, imprenditore dalla grande disponibilità economica, abbia chiesto di restituirgli la somma a rate) sia sulla base di quanto emerso dall’inchiesta. I pm fanno riferimento soprattutto alle dichiarazioni rese in qualità di testimoni dagli avvocati Niccolò Ghedini e Giorgio Perroni e da quanto afferma lo stesso premier nel suo memoriale consegnato alla procura di Napoli, laddove ammette di aver versato la somma, spiegando di averlo fatto a titolo di prestito.