Fabrizio Corona: “Volevo pagare le tasse…”. E Francesca Persi: “Chi non ha cassaforte usa controsoffitto…”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Ottobre 2016 - 15:09 OLTRE 6 MESI FA
Fabrizio Corona: "Volevo pagare le tasse...". E Francesca Persi: "Chi non ha cassaforte usa controsoffitto..."

Fabrizio Corona: “Volevo pagare le tasse…”. E Francesca Persi: “Chi non ha cassaforte usa controsoffitto…” (foto d’archivio Ansa)

MILANO – Fabrizio Corona prova ad arrampicarsi sugli specchi: “Non ho mai guadagnato un euro in modo illecito in vita mia, quei soldi sono frutto del mio lavoro frenetico di 10 mesi e avevo intenzione di pagare le tasse e mettermi in regola”. Così si è difeso Corona nell’interrogatorio davanti al gip di Milano, stando a quanto riferito dal suo legale, l’avvocato Ivano Chiesa.

Ma forse è ancora meglio quanto detto dal legale di Francesca Persi, la donna arrestata con Corona (e a casa della quale sono stati trovati i soldi che il paparazzo è accusato di aver nascosto al Fisco: “C’è chi nasconde i soldi in cassaforte, mentre chi non ha la cassaforte li nasconde nel controsoffitto”. Lo ha spiegato l’avvocato Cristina Morrone, legale della Persi.

Nell’interrogatorio, come ha chiarito il difensore, Persi si è difesa spiegando che quei 1,7 milioni di euro in contanti trovati nel controsoffitto della sua abitazione “sono i soldi della società Atena, guadagnati in nero e bisognava solo trovare un modo per versare l’Iva e i termini per versarla erano ancora aperti”. Allo stesso modo, secondo Persi e la sua difesa, i contanti portati in Austria e versati su un conto “non sono soldi di Corona ma della società”, di cui la donna era amministratrice. Proprio oggi, ha aggiunto il difensore, si è dimessa da amministratrice della società.

Ecco quello che ha spiegato Corona al gip: “Quei soldi trovati nel controsoffitto e anche quelli in Austria sono frutto del mio lavoro e di quello della società Atena, dieci mesi di lavoro frenetico che ho portato avanti da quando ho ottenuto l’ affidamento in prova sul territorio e fino all’altro giorno”. L’ex re dei paparazzi, sempre a detta del difensore, ha anche aggiunto: “Dopo averli nascosti e averne portato una parte in Austria, avevo intenzione di dare una svolta alla mia vita, di pagare le tasse e le sanzioni e di mettermi in regola”. Secondo la difesa, non si tratterebbe nemmeno di evasione fiscale al momento, “perché i termini per pagare le tasse sono ancora aperti”.

Corona, stando al suo difensore, rispondendo al gip ha ribadito più volte di non aver “mai guadagnato un solo illecito e quello che si dice è tutta una favola”. E ha sostenuto che se avesse voluto davvero far sparire “quel denaro, ci avrei messo poco”.

L’avvocato Morrone ha annunciato che già domani “presenteremo un’istanza di scarcerazione, perché la custodia cautelare in carcere per un’accusa del genere è troppo”. Il difensore ha spiegato inoltre che Persi “sta reagendo bene, è lucidissima ed è solo preoccupata per i suoi figli”. Secondo il legale, i soldi in contanti portati in Austria sarebbero meno del milione, milione e mezzo di euro, cifra di cui sospettano gli inquirenti. Secondo la difesa, inoltre, i tre milioni di euro complessivi guadagnati “dalla società Atena” per cui lavorava Corona non sono un incasso troppo alto per le serate in discoteca, “anche perché Atena si occupa di comunicazione e ha tanti clienti”. Sempre secondo il difensore, “non ci sono altri conti o altri soldi in contanti in giro”. La stessa somma portata in Austria, a detta della difesa, “può essere riportata in Italia e sottoposta a tassazione”.

Intanto la Procura di Milano ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo di annullare il provvedimento con cui il gip Ambrogio Moccia alla fine di settembre aveva evitato a Fabrizio Corona di ritornare in cella riconoscendo la continuazione tra i reati di estorsione, tentata estorsione e bancarotta, per i quali è stato condannato in via definitiva. L’istanza è stata depositata l’altro ieri, il giorno dopo l’ arresto del fotografo, finito a San Vittore con la sua collaboratrice Francesca Persi, per attribuzione fittizia di beni in relazione a 1.7 milioni di euro sequestrati nel controsoffitto della casa dove viveva la donna. I pm dell’esecuzione Nunzia Gatto e Nicola Balice hanno ravvisato nel provvedimento del gip una “macroscopica violazione” del codice di procedura penale che “impone al giudice del rinvio l’obbligo di uniformarsi alla sentenza della Cassazione” che aveva già accolto un primo ricorso contro il riconoscimento della continuazione da parte di un altro gip nel 2014, cosa che aveva fatto uscire dal carcere Corona.

Nell’istanza che la Procura ha depositato in Cassazione si sostiene che il gip Moccia, non solo “non si è uniformato”, come prevede la legge, alla sentenza della Suprema Corte ma ha pure “contestato e criticato espressamente la sentenza di annullamento” del precedente provvedimento con cui era stata riconosciuta la continuazione. Gli ermellini avevano sostenuto, tra i motivi della loro decisione, la disomogeneità tra i reati commessi da Corona, mentre il gip Moccia, al contrario ha ritenuto la “sussistenza di omogeneità” tra l’estorsione e la bancarotta fraudolenta “affermando che qualificarli semplicemente ‘come contrari alla correttezza dell’ordine economico – sono le parole del giudice riferite alle motivazioni della Cassazione e riportate nel ricorso dei pm – appare, sia scritto con molto pudico rispetto per l’opera dei massimalisti, un anacronismo giuridico”.

Secondo i pm Gatto e Balice il gip Moccia ha inoltre “confuso l’unicità del disegno criminoso” che avrebbe dovuto avere una programmazione unitaria fin dall’origine e non ha considerato l’assenza di “vicinanza” cronologica dei fatti. E poi, si legge nel ricorso, il giudice “pur dando atto della sfrontatezza operativa, della disinvoltura criminosa modellata in comportamenti deviati, della spasmodica necessità” dell’ex re dei paparazzi “di disporre liquidità in nero” e “pur evidenziando caratteristiche psicologiche (…) che determinano scelte di vita ispirate alla sistematica e contingente consumazione di illeciti (…) ha ritenuto tali indici indicativi della continuazione”. Ora la parola passa di nuovo alla Cassazione.