Il Fatto contro Moretti: “Ferrovie dello Stato? No, ferrovie d’elite”

Pubblicato il 18 Dicembre 2011 - 11:27 OLTRE 6 MESI FA

(Foto LaPresse)

ROMA – Nel nome c’è scritto che sono “dello Stato”. Ma secondo il Fatto quotidiano, che dedica all’amministratore delegato Mauro Moretti le prime tre pagine del giornale, le Ferrovie Italiane sono diventate  “una Cosa pubblica dal punto di vista della proprietà, ma nemmeno per un istante pensata ancora per tutti i cittadini”.

Nel mirino di Daniele Martini, autore dell’articolo, c’è una gestione pensata soprattutto sull’immagine, sull’alta velocità e sui treni di lusso. Gestione che però trascura chi più degli altri i treni usa, i pendolari e tutti quei milioni di cittadini che ogni giorno si spostano su regionali e affini.

Secondo il Fatto prima dell’avvento di Moretti le Ferrovie “macinavano soldi, ma almeno tentavano di portare dignitosamente la gente da una parte all’altra della Penisola senza dimenticare la loro funzione pubblica”.

Ora, invece, sarebbero una cosa d’elite, sostenuta da una campagna pubblicitaria  che tende a presentarle come la “famiglia del Mulino bianco”.  Ma tutta l’attenzione è puntata sui Frecciarossa. Agli altri, scrive Martini, “è come se lo Stato ad un certo momento avesse fatto dire da Moretti: arrangiatevi”.

Il tutto condito da tagli: 10 mila ferrovieri in meno e spostamento delle esigue risorse sulle tratte economicamente convenienti. La ratio è semplice ma contraria alla logica del servizio pubblico: i pendolari i treni li prendono comunque, anche se fatiscenti, non hanno alternative. E allora investiamo sulle tratte che rendono se migliorate. In questo è l’opinione del Fatto il Governo si è fatto da parte lasciando carta bianca a Moretti. Con un’unica missione: ridurre le perdite.

Sull’operarto dell’amministratore delegato il giudizio di Martini è durissimo: “Quella di Moretti è stata, in pratica, una gigantesca manovra di classe, sostenuta da un apparato propagandistico all’erta 24 ore su 24 a sostegno delle ragioni del Capo identificate con quelle dell’azienda e dell’Italia. Alle Ferrovie e in qualche misura anche fuori di esse non c’è posto per chi si oppone, ma neanche per chi osa solo dire ma. Come i familiari delle vittime della strage ferroviaria di Viareggio, per esempio, venuti a Roma il giorno dell’inaugurazione della stazione Tiburtina e neanche degnati di uno sguardo da Moretti. Finché è possibile, giornali e giornalisti sono blanditi, altrimenti redarguiti con letterine a cui l’ufficio stampa si dedica con diuturno e pedagogico zelo. Fino a negare l’evidenza, come è successo proprio di recente al Fatto, accusato di propalare “palesi falsità” per avere raccontato la storia degli 800 licenziati dei treni notte. Non di rado scatta pure la querela a scopo intimidatorio”.