Firenze, domiciliari con moglie: “Riportatemi in carcere”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Agosto 2015 - 09:54 OLTRE 6 MESI FA
Firenze, domiciliari con moglie: "Riportatemi in carcere"

Firenze, domiciliari con moglie: “Riportatemi in carcere” (foto d’archivio)

FIRENZE – Arresti domiciliari a casa con la moglie? Meglio farsi arrestare. La pensa così un tunisino che a Firenze stava scontando la pena nella sua dimora e ha fatto di tutto per tornare in carcere. Scrive l’Ansa che ha minacciato di buttarsi dal balcone di casa e di fare del male ai familiari se non lo avessero arrestato e portato in carcere, perché non sopportava più la moglie e i figli.

Quando ha scoperto che i militari non avrebbero potuto soddisfare la sua richiesta senza un ordine del giudice, ha dato in escandescenze e alla fine è arrestato, come desiderava, ma con l’accusa di minacce a pubblico ufficiale. All’arrivo dei carabinieri l’uomo si è presentato sulla porta di casa con un borsone contenente vestiti ed effetti personali, oltre alla documentazione relativa al suo stato di detenzione, dichiarandosi pronto ad andare in carcere.

I militari gli hanno detto che non potevano portarlo in carcere senza un provvedimento del giudice competente, quindi doveva calmarsi e tornare in casa. Ma le loro spiegazioni non sono servite a contenere la sua rabbia. In evidente stato di agitazione, si è confidato coi carabinieri, dicendo di essere sempre nervoso e arrabbiato e di non poter più sopportare la convivenza forzata con moglie e figli. Tanto che ha continuato a minacciare di fare del male alla sua famiglia se non lo avessero portato in carcere.

Ha anche rifiutato l’intervento del 118, che gli era stato prospettato per farlo parlare con un medico, nella speranza che riuscisse a convincerlo. Alla fine, non avendo altri strumenti in mano per risolvere la situazione, i carabinieri si sono consultati col magistrato di turno e lo hanno arrestato per minacce a pubblico ufficiale, consistite nell’aver tentato di costringerli a compiere un atto contrario ai loro doveri d’ufficio – portarlo in carcere -, dicendo che se non avessero acconsentito avrebbe fatto del male ai suoi familiari.