BRESCIA – Tutto porta a quel forno per leghe speciali in cui, pensano gli inquirenti, potrebbero trovarsi i resti di Mario Bozzoli, l’imprenditore di 50 anni scomparso nel nulla giovedì 8 ottobre a Marcheno in Valtrompia, in provincia di Brescia.
Il fascicolo sulla sua scomparsa, ancora contro ignoti, ipotizza il sequestro di persona ma, spiega il procuratore di Brescia Tommaso Buonanno: “Gli elementi che abbiamo fanno ritenere che il signor Bozzoli non sia mai uscito dalla fabbrica”.
Il capo della Procura parla di “una delle indagini più difficili” tra quelle che ha affrontato, ma assicura: “Non siamo trascurando nulla”. E non si trascura nulla nemmeno nell’indagine parallela sulla morte di Giuseppe Ghirardini, operaio della Bozzoli srl, scomparso mercoledì scorso, proprio nel giorno in cui i carabinieri dovevano risentirlo e trovato morto domenica nei pressi di Ponte di Legno, a oltre 100 chilometri da casa sua.
L’ipotesi di reato “tecnica” per poter eseguire gli accertamenti è quella di istigazione al suicidio anche se la sua non sembra essere stata una morte violenta, stando anche ai primi esiti dell’autopsia, mentre per i risultati tossicologici ci vorrà qualche tempo.
Gli investigatori hanno repertato tutti gli oggetti nel bosco in cui è stato trovato il corpo: bottiglie, fazzoletti di carta in una zona frequentata da escursionisti e cacciatori. Ghirardini doveva essere risentito “per dei doverosi accertamenti”, secondo Buonanno, non perché la sua versione divergesse da quanto raccontato dai due colleghi che si trovavano con lui l’ultima volta che videro Bozzoli nel tardo pomeriggio.
Non si trascura nemmeno il clima che si era creato in azienda e nell’inchiesta entra ufficialmente quella che gli inquirenti definiscono “una situazione di contrasto riguardo la gestione e la conduzione delle attività e la conduzione dell’azienda” tra i fratelli Bozzoli. Buonanno parla di “rapporti non idilliaci” e di “forte dialettica” tra i fratelli senza però che la situazione trascendesse in liti violente o iniziative legali.
Per buona parte della giornata, l’anatomopatologa Cristina Cattaneo (la stessa di Yara Gambirasio) e i carabinieri del Ris hanno setacciato la fabbrica alla ricerca di tracce biologiche dell’imprenditore. Non è stato usato il Luminol che evidenzia tracce ematiche ma che viene utilizzato quando si suppone che l’ambiente sia stato lavato e non sembra questo il caso.
Gli investigatori hanno preso tutto ciò che potrebbe servire per capire che cosa possa essere successo nei pressi di quel forno che potrebbe restituire i resti dell’imprenditore. Un’analisi delle scorie di lavorazione, del forno stesso e del prodotto finito potrebbe rivelare presenza di tessuti. Anche l’avvocato della famiglia Bozzoli, Patrizia Scalvi, ritiene che quel forno sia la chiave di tutto e nominerà un consulente in grado di spiegare il funzionamento: soprattutto se il portellone possa essere aperto in presenza di temperature elevatissime come quelle richieste per la fusione di leghe speciali.