Schettino: “Non potevo risalire su quella nave”. Ma era sceso…

Pubblicato il 17 Gennaio 2012 - 17:48 OLTRE 6 MESI FA

Francesco Schettino (Lapresse)

GROSSETO – Non ha abbandonato quella nave, anzi: ha salvato migliaia di vite umane venerdì scorso, dopo che la Costa Concordia ha urtato uno scoglio iniziando a imbarcare acqua. Così racconta Francesco Schettino, il comandante in carcere da sabato. Era al comando al momento dell’impatto, dice davanti al giudice per le indagini preliminari, lo stesso che ha confermato gli arresti domiciliari per il comandante. La sua una manovra azzardata? No, sostiene il comandante: “La nave ha trovato lo scoglio davanti al suo percorso di navigazione”. Stando alle telefonate con la Capitaneria di Porto, Schettino ha lasciato la nave ritrovandosi “appennellato” a una cima sul fianco della Concordia. Oggi al giudice ha detto che non riusciva a risalire, non ha volutamente abbandonato la sua nave.

”Il comandante Francesco Schettino ha risposto lungamente a tutte le domande che gli sono state fatte durante l’interrogatori di garanzia”, ha detto il suo avvocato Bruno Leporatti.  ”La nave dopo l’urto con lo scoglio ha avuto uno sbandamento di 90 gradi. Non potevo risalire sopra”, ha specificato Schettino al giudice e il suo legale ha poi spiegato ai giornalisti fuori dal tribunale: ”Provate voi se vi riesce a risalire su una imbarcazione in quelle condizioni. Ci vuole un elicottero…ci vuole”. Il punto però è che il comandate era sceso…

Che la versione di Schettino convinca o no il giudice, l’uomo verrà comunque sottoposto a esami tossicologici per verificare l’eventuale assunzione di sostanze stupefacenti. Il dubbio è che non fosse lucido, come sembra confermare il giudizio di uno psichiatra, Massimo Di Giannantonio: “La valutazione che si può trarre sul comportamento del comandante della nave Concordia, Francesco Schettino, ascoltando la sua telefonata con il comandante della Guardia Costiera, è quella di un comportamento incongruo rispetto alle sue responsabilità e ai suoi impegni”, e di ”una percezione alterata della realtà”. Secondo lo psichiatra, dall’ascolto della telefonata in questione sorgono alcuni interrogativi: ”quale era l’alcolemia di Schettino prima, durante e dopo il naufragio della nave, se sia stato fatto un esame tossicologico nel sangue per verificare l’assunzione di sostanze psicoattive legali o illegali – continua – e quando è stata l’ultima volta che il comandante è stato sottoposto ad una valutazione neuropsicologica”. Dalle parole invece del comandante della Guardia Costiera traspare, secondo Di Giannantonio, ”incredulita’, sbigottimento e una severa condanna”.

E a gettare ombre sull’operato di Schettino è soprattutto l’uomo della capitaneria di Porto che venerdì notte ha parlato al telefono con lui, ordinandogli di risalire a bordo. ”Non è la prima volta che i comandanti di navi in situazioni di difficoltà tendono a sminuire e ad essere per così dire silenziosi e reticenti”. A parlare in una intervista a Il Tirreno on line è Gregorio De Falco, capo della sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno, quasi 20 anni di esperienza. Venerdì sera era a capo della sala operativa della Capitaneria e coordinava un team di cinque persone, ”il migliore che potessi avere – dice De Falco – nonostante ciò non siamo riusciti a portare a termine fino in fondo il nostro dovere, quello di salvare tutti. La mia vocazione è il soccorso e non sono soddisfatto se non porto tutti a casa. Purtroppo ci sono stati dei morti”.

Schettino più volte ha risposto che era tutto a posto e che c’era solo un guasto elettrico. E invece la nave già imbarcava acqua per aver urtato una scogliera. Da cosa avete capito che il comandante della Concordia stava mentendo? ”Più delle parole ci ha preoccupato il tono. Per questo abbiamo approfondito la cosa. Siamo abituati ad andare a fondo alle questioni. E poi il fatto che il comandante parlasse di guasto elettrico non tornava con l’invito ai passeggeri di indossare i giubbotti di salvataggio. Un comandante serio non può far preoccupare inutilmente i suoi passeggeri facendo loro indossare i giubbotti se non è necessario”. Quale è stato il ruolo della Capitaneria? ”Abbiamo fatto solo il nostro dovere, cioè portare a regime il soccorso”.

Lei ha usato toni duri e decisi nei confronti del comandante. ”Posso solo dire che il nostro scopo in quel momento era quello di mettere tutti al sicuro”. Di origini napoletane, De Falco s’è arruolato in Marina nel settembre del 1993 ed è arrivato a Livorno nel 2005. Insieme a lui, in sala operativa, c’erano il capoturno, un operatore radio, l’operatore dell’apparecchiatura Port approach control (Pac), l’ufficiale di ispezione e l’ufficiale operativo.