Schettino racconta: “L’allarme in ritardo era voluto, io sono una vittima”

Pubblicato il 10 Luglio 2012 - 19:38 OLTRE 6 MESI FA
Francesco Schettino (Foto Lapresse)

ROMA – Un incidente banale. Che poteva essere più grave se il comandante avesse fatto evacuare subito la nave, in alto mare, anziché aspettare che si adagiasse sul fondale a pochi metri dall’Isola del Gigilio. L’ufficiale De Falco che gridava al telefono “Salga a bordo, cazzo!”? Non aveva capito la situazione, non aveva capito che quell’ordine non poteva essere eseguito. Il comandante Francesco Schettino parla alla trasmissione di Canale Cinque “Quinta Colonna” in onda martedì sera e ricorda i momenti salienti del naufragio della Costa Concordia del 13 gennaio scorso.

”Io da comandante non ho mai dato un ordine che non possa essere eseguito, cioè lui ha richiamato un dovere senza capire che non poteva essere fatto”, ha detto Schettino ricostruendo la famosa telefonata avuta la notte del naufragio della Costa Concordia con l’ufficiale della Guardia costiera Gregorio De Falco. ”Il discorso – spiega Schettino – è che non aveva considerato che la nave sul lato dritto era affondata, dovevo fare 300 metri a nuoto, cioè buttarmi in acqua, fare il giro della prora, vedere la biscaggina, col cellulare da preservare, perché nel frattempo dovevo parlare con l’unità di crisi, facevo una cosa molto più seria”.

Schettino dice di non aver visto persone che stavano affogando. ”Il codardo – dice Schettino – è chi in una situazione di pericolo cerca di trarne vantaggio. Se avessi saputo che quella telefonata sarebbe stata resa pubblica, sicuramente il tono della conversazione sarebbe stato diverso. Lasciar prevalere il proprio io avrebbe significato riattaccare il telefono e buttarlo in acqua, non ho capito a che gioco stiamo giocando. E là ci è mancato poco. E di quello sono fortunato a non averlo fatto, perché avrei dato stile a tutta la mia napoletanità e gli avrei fatto capire un pochettino chi era quel comandante: Francesco Schettino”.

L’allarme in ritardo. Riguardo il ritardo nel dare l’allarme, Schettino dice di non essere pentito ”Di questo non mi pento nel modo più assoluto, lo ribadisco con forza, quella decisione è stata giusta. Perché io per far evacuare la nave l’avrei dovuta fermare. E’ da stupidi fermare un evento favorevole che si stava verificando e che la nave stava andando a scarrocciare verso terra, quindi sarebbe stato lì un’imprudenza far fermare la nave. Se si ribaltava lì purtroppo non so quante vittime ci sarebbero state, sicuramente trovandoci su un fondale più basso ha fatto meno vittime”. ”Questo è un incidente banale nel quale la fatalità ha trovato breccia proprio nell’ interagire tra esseri umani. Si è creato credo, di base, un malinteso e proprio per questo c’è la rabbia. E’ come se tutte le teste, compresi gli strumenti, fossero andati in black-out. In quel momento lì io sono salito sul ponte – racconta Schettino – ho ordinato la navigazione manuale e non avevo io il comando, la direzione della navigazione era dell’ufficiale”. Poi aggiunge ”mi faccio la colpa di essere stato distratto e che quella distanza come di routine doveva essere riportata, perché chiunque osservi al radar una situazione di eccessiva vicinanza deve per forza farlo presente”.

 Un “incidente, non un crimine”. ”Al carcere ci penso, ma bisogna avere l’onestà di capire: ‘Ho fatto questo e me lo sono meritato’. Però un incidente nautico è differente da un crimine. Io non credo di aver commesso un crimine”, ha detto Schettino. Quella sera, ha aggiunto ”ho fatto delle scelte da comandante, io mi sento sempre un comandante, certamente. Voglio che emerga la verità, qualunque questa sia”. Poi, un pensiero alla famiglia: ”Mia moglie e mia figlia mi sono state sempre vicino, mia figlia è intelligente, ha 16 anni, non ha esternato nessuna perplessità”, ha aggiunto.

La “mano divina”. ”La mano divina – racconta Schettino citando il proprio memoriale – è proprio per dire ci stava un’ostruzione, il fiuto, l’osservazione di vedere, l’essere attenti, mi ha fatto intuire un qualche cosa da compiere che era importante”, tanto che ”alla fine sono riuscito ad evitare l’impatto frontale”. Poi, parlando dell’inchino Schettino nega chi sia stato fatto per dimostrare le sue capacità alla moldava Domnica Cemortan e spiega: ”c’è una differenza tra un inchino e un passaggio, quello doveva essere un passaggio ravvicinato all’isola, perché in caso di inchino noi, generalmente, si riduce la velocità, si va a distanza ravvicinata, si scelgono le carte giuste per fare l’inchino ad una certa distanza dalla terra: se fosse stato programmato un vero e proprio inchino, non sarebbe successo perfettamente niente”.

Le scuse. ”E’ normale che io debba chiedere scusa, quindi è normale che io debba chiedere scusa, proprio come rappresentante di questo sistema, a tutti”, ha proseguito Schettino che si è poi definito ”vittima di tutto questo sistema”. Al giornalista che gli chiede se pensa di dover chiedere scusa per il naufragio della Concordia, Schettino risponde: ”Certamente, perché io non pensavo mai potesse accadere una cosa del genere, va al di là di ogni intenzione di voler fare qualcosa del genere. Nell’incidente non solo viene identificata la nave, l’azienda, viene identificato il comandante”. ”Il mio cordoglio, il mio affetto più sincero va alle persone che purtroppo non ci sono più – dice Schettino – Il danno economico sicuramente ci sta, i danni sono per le perdite, per le persone che sono state colpite nei loro affetti e alla fine sicuramente per l’azienda e per il comandante della nave, che poi è stato vittima di tutto questo sistema, questa cosa che è successa, che è un sentimento indescrivibile, è ben minore dell’affetto di una madre che perde una bimba. Sicuramente, è incommensurabile. Però la perdita della nave per un comandante è qualcosa per cui non esiste un metro di dolore”.

La piccola Daiana e Domnica. Quando gli viene chiesto della morte della piccola Daiana Arlotti, Schettino risponde che preferisce non parlarne: ”Questa e’ una domanda che mi distrugge, è terribile”. La sera del naufragio della Costa Concordia, il comandante Francesco Schettino cenò con la giovane moldava Domnica Cemortan, ma fra i due c’è solo amicizia secondo il comandante. ”E’ normale che ci sia stato gossip – ha detto Schettino parlando di Domnica – E’ sicuramente una persona socievole, simpatica e un po’ amica di tutti, non necessariamente doveva essere qualcosa di più”. Quando gli viene chiesto se al momento dell’inchino Domnica fosse in plancia, Schettino risponde che ”stava aspettando fuori dove sta la tenda e aspettava la cabina libera, la chiave che gli avrebbe poi fornito”, perché ”lei era una mia amica e del capo commissario, una persona che voleva fare una crociera con le sue amiche a bordo, voleva comprare un biglietto in Russia, disse che nelle agenzie russe non era riuscita a trovare un posto sulla nave e quindi l’ aiutammo a trovare regolarmente una cabina e un regolare biglietto di viaggio”. Riguardo quella sera, Domnica ”è stata a cena con me – racconta Schettino – è stata assieme anche al capo commissario perché alla fine ripeto ci sono delle persone con cui vale la pena farsi due risate, nient’altro”.

Le vittime. Riguardo ai morti nel naufragio Schettino dice: ”Quelle 32 vittime me le sento sulla coscienza, è normale. Qualcuno delle vittime la conoscevo, come il cameriere, sempre sorridente – ha ricordato – Ci penso sempre”. Poi, parlando del marito di una vittima, che ha detto di voler incontrare Schettino, il comandante ha detto di comprendere quel desiderio e che vorrebbe ”portasse un fiore per me alla moglie”. ”Non ho trovato la pace – ha concluso – Nella coscienza di quello che potevo fare sì, ma la pace di accettare quello che è successo no. Ma – ha concluso – bisogna essere forti abbastanza da conviverci”.