Tutto cominciò a Genova. Dal ’71 a Adinolfi, il ritorno dello spettro Br

Pubblicato il 8 Maggio 2012 - 09:22 OLTRE 6 MESI FA

Roberto Adinolfi

GENOVA – Il terrorismo cominciò da qui. Genova, 26 marzo del 1971: in via Bernardo Castello due uomini su uno scooter ammazzano a colpi di pistola il portavalori delle case popolari Alessandro Floris. 

Dopo quell’omicidio in città si susseguono il rapimento del sostituto procuratore Mario Sossi (18aprile 1974), l’omicidio del procuratore generale Francesco Coco (8 giugno 1976) e poi Guido Rossa, operaio Italsider che aveva denunciato un collega che distribuiva volantini con la stella a cinque punte, ucciso davanti a casa il 4 gennaio del 1979.

In tutto in dieci anni un bilancio di nove omicidi, sedici ferimenti e diversi attentati.

E dopo ieri a Genova torna l’incubo terrorismo: l’agguato che il 7 maggio ha colpito Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, riporta la mente a quando, sempre negli Anni Settanta, nel capoluogo ligure vennero presi di mira dai brigatisti Vincenzo Casabona, Carlo Castellano e Giuseppe Bonzani.

Tutti e tre lavoravano all’Ansaldo, come Adinolfi: Casabona, oggetto di un sequestro-lampo nel 1975, era capo del personale dell’Ansaldo meccanica, Castellano, ferito nel 1977, era capo della pianificazione, Bonzani, ferito nel 1979, era direttore dello stabilimento G. T. Ansaldo.

Riportano a quel tempo anche le modalità dell’agguato: Adinolfi è stato gambizzato, cioè colpito alle gambe. Un ferimento che comporta un grandissimo dolore ma non uccide, “limitandosi” ad umiliare la vittima costringendola a strisciare. E la pistola usata dai due assassini è una Tokarev calibro 7.62, di fabbricazione est europea.

Sono gli stessi inquirenti ad avere definito l’agguato di ieri ad Adinolfi “un chiaro atto terroristico“. Le indagini dei carabinieri dei Ros puntano sull’estremismo ambientale, sulla sinistra estrema o sulla pista anarchica, dopo che nei mesi scorsi su internet era circolato un appello di alcuni gruppi anarchici ad “alzare il tiro”.

In particolare è importante quello che ricorda sul Corriere della Sera Giovanni Bianconi: “le parole scritte e diffuse sei mesi fa da un brigatista rosso arrestato a fine anni Ottanta, ergastolano ma sostenitore della lotta armata in servizio permanente effettivo. Si chiama Franco Galloni, ‘militante delle Br per il partito comunista combattente prigioniero dello Stato imperialista denominato Italia’. Al termine di una lunga analisi che parte dalla crisi mondiale per approdare alla situazione italiana, sostiene per il rilancio della strategia brigatista ‘le condizioni oggettive non sono mai state così buone come, per contro, quella soggettiva non è mai stata così cattiva’.”

“Come dire, scrive sempre Bianconi, che il contesto politico-sociale sarebbe favorevole a rivolte che toccherebbe ‘ai comunisti fare sì che non si avvitino su se stesse in sterili jacquerie’, cioè moti spontanei destinati a una rapida estinzione; quello che manca, nell’analisi del rivoluzionario, sono militanti e organizzazioni in grado di inserirsi nei conflitti e guidarli indicando la strada che dovrebbe innescare la rivoluzione. Chissà che qualcuno non si sia messo in testa di mostrare che invece un ‘soggetto’ esiste, palesandosi con lo sparo di Genova (un colpo secco, un’anomalia rispetto ai canoni operativi del passato)”.