Giada Molinaro uccisa da pirata strada, famiglia rifiuta 1 mln di risarcimento

di Redazione Blitz
Pubblicato il 6 Marzo 2017 - 13:24 OLTRE 6 MESI FA
Giada Molinaro uccida da pirata strada, famiglia rifiuta 1 mln di risarcimento

Giada Molinaro uccida da pirata strada, famiglia rifiuta 1 mln di risarcimento

ROMA – Giada Molinaro aveva 17 anni quando il 14 settembre del 2016 mentre camminava sulle strisce pedonali fu travolta e uccisa da un’auto che non si fermò, neanche a soccorrerla. Chi guidava scappò, fu arrestato due giorni dopo e solo allora confessò. Non senza prima aver cercato di far riparare i danni alla macchina (e quindi le relative prove dell’accaduto) andando da un carrozziere e raccontando la bugia di aver investito un cinghiale. Forse, probabilmente è qui, in questo fuggire e mentire, in questo provare a farla franca sul cadavere di Giada, la radice e la ragione del no che i parenti della vittima hanno pronunciato. Uno no ad accettare il risarcimento in denaro. Un no a un milione di euro.

La compagnia di assicurazione del pirata della strada (tale è non per aver investito ma per non aver soccorso) ha offerto appunto un milione di euro ai parenti come risarcimento. Ma i genitori di Giada, Pasquale Molinaro e Stefania Marzano hanno rifiutato. Per non perdere il diritto a costituirsi parte civile come hanno detto e soprattutto per la determinazione a “essere in aula, guardare in faccia il ragazzo che ha investito nostra figlia e il giudice”. Facendo quindi esplicito riferimento al loro timore di una condanna lieve, pena ancor più lieve facilitate dal loro intascare il milione di euro.

L’imputato, Flavio Calogero Jeanne, ha sostenuto di essere fuggito per paura (non è attenuante, eppure tutti gli imputati in casi analoghi la accampano come tale). Dice di essere pentito (quasi tutti quelli che compiono un reato giurano di esserne pentiti). E lavora alacremente ad uno sconto di pena.

Ha incontrato però dei genitori che hanno fatto della giustizia per la figlia morta una missione, se non un’ossessione. Il nome della figlia tatuato sulle braccia e sui polsi, in casa un altare votivo con l’urna cineraria…

Una storia di dolore, ossessione, tentativi di eludere e beffare la giustizia, di cavarsela a buonissimo mercato e incerti confini tra giustizia e vendetta. Una storia in cui spicca il rifiuto di un milione di euro di risarcimento. Una storia che si può leggere come consolante perché racconta che non tutto è monetizzabile, non tutto può essere tradotto in denaro. Oppure come storia disperata perché nessuna vigilanza dei genitori sul giudice porterà mai a punizioni che i parenti delle vittime possano sentire adeguati alla morte della ragazza. Perché, se certo la morte di una figlia non può essere risarcita in denaro, non lo può neanche in anni di galera.