Giallo di Udine, l’auto, lo stupro…i punti oscuri nel racconto delle 2 ragazze

di Daniela Lauria
Pubblicato il 9 Aprile 2013 - 10:41| Aggiornato il 27 Dicembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

UDINE – Erano almeno in tre in quel campo vicino Udine dove è stato trovato il cadavere di Mirco Sacher, ferroviere in pensione di 67 anni. C’erano la vittima e le due quindicenni che si sono autoaccusate di aver ucciso l’uomo per legittima difesa: hanno ucciso l’orco che voleva violentarle, questa la storia raccontata, i cui contorni sono ancora poco chiari. Troppi i punti oscuri nel loro racconto: a cominciare dal fatto che ci sarebbero due ore di buco nella storia e poi, come hanno fatto due ragazzine, senza patente e senza esperienza di guida, a percorrere da sole tanti km di strada guidando la Fiat Punto dell’uomo? E ancora: come possono due adolescenti graciline aver messo k.o. un omone robusto quale era Sacher? E lui, per quanto grande e grosso che fosse, ma pur sempre anziano, come poteva molestarle entrambe? Un violentatore contro due vittime è poco credibile.

L’ipotesi al vaglio degli inquirenti è che ci sia stata una terza persona, forse il vero assassino, che le due giovani starebbero coprendo e che le avrebbe aiutate nel contorto tragitto che le ha condotte dal luogo del delitto, fino a Mestre. Ma è un’ipotesi che porta con sé un’ulteriore domanda: che interesse avrebbero a confessare, seppure con la “scusante” della legittima difesa, un delitto così atroce se non fossero state davvero loro?

Di sicuro una delle due porta addosso i segni di una colluttazione. Ma Sacher, che loro raccontano di aver strangolato in tandem, contemporaneamente – il ché spiegherebbe in parte l’enigma sulla forza necessaria – non mostra alcun segno di soffocamento né lividi sul collo. L’autopsia aiuterà a far luce sulle cause della morte, al momento però l’unico segno rinvenuto sul cadavere è un graffio sulla guancia, non si sa se procurato da un’unghia o da uno dei rovi su cui è stato scaraventato.

E poi ci sono i dubbi sul percorso: lasciato il campo dove avevano strangolato Mirco Sacher, a bordo dell’auto di lui si sono dirette in autostrada. Ma il casello di Udine Sud registra il passaggio della Punto quasi due ore dopo. Giunte all’area di servizio di Limenella, in provincia di Padova, hanno chiuso e abbandonato la vettura perché era finita la benzina e hanno fatto l’autostop. Un uomo avrebbe dato loro un passaggio fino a Vicenza, da dove hanno preso il treno e sono tornate fino a Venezia Mestre, dove sono giunte a notte fonda. Qui hanno riferito di aver incontrato una coppia di ragazzi di cui conoscevano uno di vista e aver raccontato loro la vicenda. Questi le hanno dunque convinte a denunciare il fatto ai carabinieri.

Ma il punto è: perché andare a Padova per poi spostarsi a Vicenza e di lì riprendere il treno per Mestre? Pensavano forse ad una fuga?

Piero Colaprico, sul quotidiano la Repubblica, tenta di risolvere il giallo attraverso un identikit dei protagonisti. Di Sacher racconta:

Sacher non era sposato. Rimasto solo in un appartamento popolare al terzo piano dopo la morte della madre, era considerato «uno a posto», che «non parlava di donne», un grande frequentatore delle partite che divertono e non costano nulla, quelle del calcio dilettanti. Se proprio bisogna frugare nella sua vita, ci viene raccontato che sì, una volta, era stato fermato accanto a una prostituta africana, e spiace anche scriverlo, ma è necessario in questa situazione, e che ogni tanto il suo telefonino squillava, diceva di essere amico di una badante. Un uomo, dunque, molto semplice.

Più complesso invece parlare delle due ragazzine:

Sono due amiche, compagne di scuola, un istituto professionale, e vicine di casa. Una, A., un po’ più «avanti» di F., se «avanti» significa essere più sveglie. Questo essere «più sveglia» dipende soprattutto dall’essere stata fidanzata con un giovane nomade. Uno con una vita balorda, come capita a volte. Uno che rubava le auto. Ed è sempre A., grande chioma di capelli rossi tinti, che conosceva Sacher: il pensionato era un amico dell’intera famiglia, della madre di A., di sua zia. Uno, si dice, che qualche volta si offriva di dare alle amiche un passaggio in auto dal quartiere dove stavano, dietro lo stadio Friuli, verso il centro città. L’altra ragazza, F., figlia di un cuoco che nella sua stessa scuola insegna, aveva ricevuto nei giorni scorsi una lettera dal preside: un forte richiamo sulla «cattiva condotta».

Insomma due adolescenti irrequiete, che potrebbero aver compiuto un folle gesto. Ma resta inspiegabile la logica di quella fuga convulsa. E poi ci sono i testimoni, che dicono di aver visto le ragazzine litigare sulla scena del crimine e c’è chi parla di un’altra persona, una donna adulta. Forse è lei che le ha istigate o, peggio, ha commesso l’omicidio, lasciando che le due si addossassero la colpa?