“Vivere in Italia è da sfigati”: un giovane su due vuole emigrare

di Maria Elena Perrero
Pubblicato il 22 Giugno 2011 - 11:31 OLTRE 6 MESI FA

Fuga dei cervelli

infografica Lapresse

ROMA – Il quaranta per cento degli italiani tra i 25 e i 34 anni pensa che sia una sfortuna vivere in Italia. E’ facile dirlo, ma l’Italia non solo conferma di non essere un paese per giovani, ma anche un paese sdegnato dai giovani, stufi della mancanza di senso civico, dell’eccessiva corruzione, di una classe politica uguale da vent’anni (cioè da quasi tutta la memoria di un trentenne).

E non sono luoghi comuni: i dati li dà la fondazione Migrantes, nel suo rapporto 2011 sugli “Italiani nel mondo”. Se poi quattro italiani su dieci si lamentano del proprio paese, altrettanti si trasferirebbero all’istante altrove.

Italia paese di navigatori, si ricorderà. Migranti nel dna. Ma oggi che questo paese è uno dei Grandi (G8, G20, Ue, Nato…), diventato meta appetibile per i più disperati di noi d’oltre Mediterraneo, e Lampedusa quasi una nuova Ellis Island, be’, oggi il Titanic su cui viaggiano gli italiani è un aereo low cost che porta a Berlino, New York o Parigi.

Se il “vecchio” Nuovo Mondo resta la meta ambita dal 16,1 per cento degli under-35, la Francia lo batte con il 16,5 per cento delle preferenze, seguita dalla Gran Bretagna (11,9) e dalla Germania (10,1).

Muniti di pc, smartphone, i-Pad, collegati wifi, vicini ai loro cari lontani grazie a skype, i nuovi migranti italiani sono la coscienza del paese, quella che non teme di dire che ci sarebbe molto da fare per migliorare, che così non va bene.

Non va bene l’assenza di senso civico, secondo il 20,6 per cento, la corruzione diffusa (19,1 per cento), la classe politica (15,2), la condizione economica (8,6), il tasso di criminalità (3,9), lo stato sociale (1,3).

L’Italia del 2011 è un paese su cui si allunga sempre più l’ombra della precarietà, sentita dal 43,5 per cento degli under 24 e dal 33,6 per cento degli under 34. Una precarietà che si riflette nell’impossibilità di comprare casa, di metter su famiglia, di avere dei legami stabili. E allora tanto vale approfittare di questa precarietà e trasformarla in libertà. In libertà imposta, certo, ma pur sempre libertà.

Anziché in equilibrio fragile in un paese che non va si decide allora di volare da un’altra parte. Tanto, è improbabile che oltreconfine si passi dalla padella alla brace: se in Italia gli occupati sotto i trent’anni sono il 54,2 per cento del totale, in Francia il tasso sale all’85,4 per cento, in Germania addirittura all’86,7.

Adesso il popolo degli italiani all’estero conta più di quattro milioni di persone, 90mila in più solo nell’ultimo anno. Tra loro soprattutto donne e giovani, sempre più giovani, tanto che la moda dell’Erasmus è diventata la moda dell’Intercultura: un anno di studio all’estero non più all’università ma al liceo.

Perché va bene il bel clima e la buona cucina, va bene l’affetto della mamma italiana. Ma su tutto il resto l’Italia sembra proprio avere perso la partita. Di certo sta perdendo i suoi figli.