G.C. Morrone uccise la moglie, confessò, ma la fa franca…

di Danilo Meconio
Pubblicato il 20 Febbraio 2016 - 12:42 OLTRE 6 MESI FA
Giulio Cesare Morrone uccise moglie. No carcere: prescritto

Giulio Cesare Morrone uccise moglie. No carcere: prescritto

PESCARA – Nel 1990 Giulio Cesare Morrone uccise sua moglie Teresa Bottega. Accadde a Pescara e Morrone, a distanza di 26 anni, non ha fatto un giorno di galera e nessuno ne farà nonostante quell’omicidio l’uomo lo abbia confessato. Per la seconda volta in tre anni, infatti, sentenza ha stabilito che sì fu omicidio, sì fu compiuto da Morrone, ma che fu omicidio preterintenzionale e non volontario. E che quindi è passato troppo tempo perché Morrone sia punito.

Una vicenda che lascia sconfortati e che fa piombare nella disperazione i familiari della vittima. Perché un omicidio e 20 anni di bugie non sono serviti a far andare Morrone dietro le sbarre.

La storia inizia una mattina del 1990. Morrone e Bottega sono sposati, hanno un figlio. Litigano spesso per le continue scappatelle dell’uomo. Litigano anche quella mattina solo che la lite degnera. Morrone picchia Teresa, le mette le mani sul collo. Lei muore. E Morrone mette in atto il suo piano: prende il figlio, lo porta a scuola. Poi torna a casa: prende il corpo di Teresa, lo mette in una grande cesta, lo carica in macchina, lo porta in un Paese vicino Ferrara, lo scarica nel fiume.  Quel corpo non riemerge mai. E ai parenti Morrone racconta che Teresa se n’è andata.  Così un vecchio articolo del Messaggero:

«E ho fatto così. L’ho accompagnato, poi sono tornato a casa. Il corpo l’ho messo in un cesto grande e con quello sono sceso in garage attraverso una scala interna». Doveva augurarsi di non incontrare nessuno e nessuno ha incontrato. A quel punto ha caricato il corpo nel bagagliaio e si è messo in macchina: «Non sapevo dove andare, ero in trance, ho guidato senza sapere dove andare. Mi sono ritrovato in autostrada, direzione nord e poi a Ferrara ma non lo so perchè mi sono fermato in quel posto». Quel posto sarebbe Bombeno: «Mi ricordo il cartello, ho dimenticato tutto, il cartello no».

Passano 22 anni in cui si indaga. Ma senza corpo non ci sono le prove. Non c’è nessun elemento per andare oltre i sospetti. E Giulio Cesare Morrone se la cava, sembra un delitto perfetto. Ma Morrone, in realtà,  un errore lo fa. Si confida con un sacerdote. Non una confessione, una confidenza. E l’errore è qua. Perché confessione vincola, confidenza no. E il sacerdote in questione,  don Giuseppe Femminella, lo racconta a un suo amico. Tutto arriva alla polizia che non ha nomi ma indaga. E arriva a Morrone che a quel punto confessa.

Il carcere sembra inevitabile.  E’ il 6 dicembre 2012 quando Morrone confessa: “L’ho uccisa io”. Poi specifica: “L’ho colpita, le ho stretto le mani al collo, ma non l’ho strangolata”. Ovvero la differenza tra un omicidio preterintenzionale e uno volontario, più grave giuridicamente. Il pubblico ministero chiede 16 anni e le aggravanti. Il giudice non le riconosce e la pena cade sotto la prescrizione. Si finisce in Appello dove l’accusa di anni ne chiede 30, il massimo con il rito abbreviato. Ma al momento della sentenza non cambia nulla. Scrive il Centro:

A differenza del giudice di primo grado, la Corte aquilana ha considerato inapplicabili le attenuanti generiche e ritenuto l’omicidio aggravato perché commesso in danno della moglie. Il pg ha chiesto che venisse riconosciuta l’aggravante dei futili motivi e di conseguenza la condanna a 30 anni di reclusione, cioè all’ergastolo con lo sconto per la scelta dell’imputato, difeso dall’avvocato Mirco D’Alicandro, di essere giudicato con il rito abbreviato

E’ passato, in sintesi, troppo tempo. Giulio Cesare Morrone, l’omicida perfetto non deve pagare alcun conto per l’omicidio della moglie. Nonostante le menzogne raccontate a tutti per 22 anni.