Non solo Chiesa, Roma capitale degli Ici-esenti: 3000 enti non pagano

Pubblicato il 22 Dicembre 2011 - 11:09 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Roma è la capitale dei renitenti all’Ici: non è solo la Chiesa ad approfittare  delle esenzioni fiscali stabilite dalla legge per gli immobili destinati ad attività assistenziali, sanitarie, previdenziali, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. L’elenco parla da sé: dietro queste attività, diciamo con finalità sociali, c’è rappresentato lo spettro intero della “bella società”. Dai partiti politici, con le sedi ufficiali e le diverse articolazioni,  Cisl, Uil e Confindustria. Le fondazioni politiche, emanazione diretta dei big di partito. I centri di ricerca, meritoria istituzione per il progresso e lo sviluppi dietro i quali ci sono colossi industriali, le case d’alta moda, le fondazioni bancarie, le grandi banche, le grandi aziende, le società miste.

Fuori i nomi? Il dossier pubblicato da Repubblica del 22 dicembre, raccoglie parecchi dei grandi nomi celati dietro la neutra denominazione di ente. Insieme ai piccoli, specie del mondo delle associazioni. Sono circa 2800 soggetti proprietari di almeno 3500 immobili, zona franca per quanto riguarda l’Imu. I partiti hanno la dispensa a prescindere dalla normativa sulla fiscalità della casa e la ragione è ovvia. Meno ovvio perché lo sconto deve essere accordato alla fondazioni politiche, da quelle storiche come la Fondazione Fanfani, Iotti, Sturzo, Gramsci, a quelle più recenti, proliferate come funghi negli ultimi anni. Da ItalianiEuropei di Massimo D’Alema, a Cristoforo Colombo di Claudio Scajola, dalla Libera Fondazione di Giustina Destro alla Scuola Democratica di Walter Veltroni, da FareFuturo a Fede e Scienza di Buttiglione.

Nel calderone degli enti di ricerca spiccano i nomi dei colossi farmaceutici Pfizer e Serono, i grandi istituti di credito con Bnl, Credito Cooperativo, grandi aziende come Telecom Italia e Finmeccanica, le case di moda come le sorelle Fendi, Biagiotti, Capucci, Fontana. Per tutti vale la clausola ambigua della circolare del 2009 sull’esenzione Ici: “L’immobile deve essere utilizzato da un ente non commerciale” ma, continua, “gli immobili non devono avere esclusivamente natura commerciale”. La stesso scivolamento semantico di quel “no esclusivamente” che permette a una congregazione o a una confraternita di metter su alberghi e bed & breakfast senza pagare un euro di Ici a patto che nell’edificio ci sia una cappella per dire messa o un campo di calcetto per i ragazzini del quartiere.

Tra le associazioni che godono del privilegio dell’esenzione ci sono lodevoli onlus e volontari ma anche una sfilza di sigle dalle più improbabili finalità. Se non fosse che drenano denaro pubblico non si capisce a quale titolo, a scorrere il campionario c’è di che sorridere. Si va dall’Associazione nazionale allevatori del cavallo da sella italiano all’Associazione romana cremazione, dagli allevatori razze charolaise a una non meglio identificata dedicata alle limousine. C’è spazio per tutti, dai verdurai ai fioristi, nelle 320 associazioni Ici-esenti. Meno comunque delle 601 fondazioni che, chissà perché, si riuniscono solo in centro storico. Dove l’Imu costerebbe di più. Se anche l’Italpatate, il Tennis club Parioli la pagassero.