Imprenditore fallisce per pagare Equitalia: giudici lo assolvono

Pubblicato il 29 Marzo 2013 - 12:03 OLTRE 6 MESI FA

BERGAMO – Il Corriere della Sera racconta la storia Giovanni, 54 anni, di Fara Gera d’Adda (Bergamo). Un calvario dopo quasi vent’anni di cartelle esattoriali e debiti con le banche, fino al processo per bancarotta fraudolenta per distrazione. Soldi usati in buona parte per pagare Equitalia. Ora però il riscatto, l’assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”.

Per i giudici l’imprenditore non ha macchinato nessun fallimento. Anzi, ha fatto di tutto per pagare i debiti. “Forse sarebbe stato meglio andare in galera ma avere ancora lavoro”, racconta. Perchè Giovanni ha perso tutto: la tranquillità economica, l’azienda, le case, il lavoro, e la fiducia della banche.

Racconta il Corriere della Sera:

La sua vicenda inizia tanti anni fa. “Dal 1986 al 1993 sono stato socio con altre tre persone, una era mio fratello, di un caseificio. Poi sono uscito, perché ho avuto un brutto incidente e con i soldi dell’assicurazione nel’94 ho aperto un’altra attività con mia moglie. Assemblavamo parti elettroniche. Ma ho lasciato la mia firma nella precedente società ed è stata la mia rovina”.

Le cartelle esattoriali.  “Nemmeno il tempo di aprire la nuova società e mi sono piombate addosso. Non ne sapevo nulla: 12 milioni di lire che con il tempo sono lievitati a 240 mila euro. Arrivavano a me, perché gli altri soci non avevano beni. Prima dalla Bergamo Esattorie, poi da Equitalia, a mio nome e con quello dell’azienda. Un caos”.

Quindi l’accusa di bancarotta fraudolenta per sottrazione: 244.388 euro tolti dalla sua precedente attività per pagare Equitalia e altri 115.324 dal conto in banca per privilegiare altri creditori.

“Ma ci pensa? Non ho tolto i soldi dalla società, erano i miei, provento della vendita delle case. Siamo finiti per sei mesi in un container. Ma ripeto, non ho nascosto nulla alla banca. Ho chiesto aiuto anche a mia suocera che mi ha prestato 60.000 euro”. Finire sotto accusa, un grosso peso. “Notti insonni. Mia moglie piangeva di nascosto. Ma ho uno spirito battagliero e la mia famiglia è unita, mi seguirebbe anche se mi buttassi nel fuoco. Che cosa dovevo fare, andare a rubare o gettarmi nell’Adda? Mai”.

I giudici le hanno creduto. Un riscatto. “Sapevo che la verità sarebbe saltata fuori. Se fossi finito in carcere, avrei scritto un libro per raccontarla. Sono stato assolto, sì, però sono rovinato. Io e la mia famiglia. Nessuno ci dà più fiducia. Pensi che abbiamo chiesto i sussidi, ma ci hanno risposto “siete imprenditori, non vi spettano”.