Intervista metodo Le Iene. Violenza privata, non diritto di cronaca: la sentenza

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 15 Marzo 2021 - 13:56 OLTRE 6 MESI FA
Intervista metodo Le Iene, violenza privata, non diritto di cronaca

Intervista metodo Le Iene, violenza privata, non diritto di cronaca

Intervista de Le Iene, non diritto di cronaca ma violenza privata: la differenza passa e sta in un piede. Ma soprattutto nell’impedire a qualcuno di esercitare i propri diritti e libertà, compresa quella di chiudere il portone. L’intervista strappata e imposta non è un diritto ma un abuso. Lo ha stabilito la sentenza che ha condannato il metodo Iene per la condotta tenuta nel caso dell’intervista a Guia Soncini, un principio applicabile però non solo al caso in questione.

“Frapponendo il piede tra il montante e il portone d’ingresso” del condominio di Soncini, il giornalista Luigi Pelazza ha “di fatto impedito di chiudere la porta d’ingresso, frustrando in tal modo la sua libera determinazione di bloccare l’accesso al giornalista e al cameraman. Non gradendo di essere né intervistata né ripresa dalle telecamere”. Questo ha costituito un “mezzo anomalo diretto a esercitare pressione sulla volontà altrui”, e così ha “ancora una volta coartato la libertà di movimento e la capacità di autodeterminazione” della persona oggetto del tentativo di intervista, “avendole impedito di raggiungere casa” e “costringendola a tollerare di essere ripresa per tutto il tempo dell’intervista contro la propria volontà”.

Intervista Le Iene, tutto comincia nel 2015

L’episodio finito davanti ai giudici risale al 19 settembre 2015, quando l’inviato aveva pressantemente inseguito con microfono e telecamera la giornalista Guia Soncini. Il tutto per farle una serie di domande sul processo, nel quale all’epoca Soncini era imputata, poi assolta. Era il caso delle presunte foto rubate di Elisabetta Canalis e dell’allora suo fidanzato George Clooney. Foto in occasione del compleanno della showgirl nel 2010 nella villa dell’attore sul lago di Como.

Luigi Pelazza in quell’occasione aveva applicato un metodo da Iena che prevede l’inseguimento e una tenacia nel rivolgere le domande. Domande che, a detta del giudice, piace forse ai telespettatori ma travalica e supera i limiti del diritto di cronaca. Diritto su cui la difesa di Pelazza aveva puntato decisamente. Ma il Tribunale non l’ha ritenuta accoglibile, aderendo non a “una isolata pronuncia della Cassazione nel 2019”, ma all’orientamento giurisprudenziale per cui “il diritto di cronaca può certamente” sterilizzare “gli eventuali reati commessi con la diffusione della notizia, ma non quelli compiuti al fine di procacciarsi la notizia”.

Le parole del giudice sul caso Le Iene

“Se così non fosse – scrive la giudice – sarebbe paradossale che anche reati gravi come furto o rapina o reati contro
l’integrità fisica potessero essere scriminati se compiuti al fine di procacciarsi notizie utili e rilevanti”. Bloccare quindi con il piede il portone di un palazzo, impedire con il corpo la chiusura delle porte dell’ascensore e altri comportamenti simili non sono quindi ammissibili nemmeno in nome del diritto di cronaca. Ma sono, come quando a metterli in atto non è un giornalista, una violenza privata. Violenza per cui l’inviato de Le Iene è stato condannato a 2 mesi convertiti in 15mila euro di multa. La decisione del Tribunale di Milano fa riferimento ad un caso specifico, ma apre anche ad un ragionamento più grande sui metodi e sulle forme della comunicazione.