L’Aquila, il diario di una famiglia ancora senza casa a un anno dal sisma

Pubblicato il 6 Aprile 2010 - 18:52 OLTRE 6 MESI FA

A dodici mesi dal sisma che gli ha cambiato la vita, una famiglia a l’Aquila ha scelto di raccontare la sua nuova esistenza, le speranze, la disillusione.

La famiglia Milani – che ha rilasciato al quotidiano la Repubblica la sua testimonianza – pensava fosse “questione di giorni, forse di mesi”. Ora dalla tenda è passata alle quattro mura di un hotel.

Cristina ha una casa classificata B, ha bisogno di piccoli lavori. Ma ci sono riparazioni da fare anche nel condominio e le autorizzazioni stanno arrivando solo adesso. “Se va bene – dice – fra giugno e agosto si ripareranno le parti comuni poi potremo lavorare a casa mia. Fino a novembre, meglio non mettersi speranze in testa”.

La vita scorre lenta, senza sapere quando questo incubo finirà. “Mi alzo la mattina presto – dice Maria Rita, la mamma di Cristina e Fabiana e nonna di Crystal, Asia e Maila – come facevo un anno fa in tenda. Ora sono in un albergo. Ma la differenza non è solo questa: un anno fa avevo la speranza che tutto finisse presto, che avremmo avuto una vera porta di casa da aprire e da chiudere”.

Un anno dopo solo Fabiana con la figlia Maila e il marito Eugenio sono tornati nella loro casa. Cristina e il marito Diego, con Crystal e Asia, sono in una stanza dell’hotel La Compagnia del viaggiatore, i nonni in una stanza dell’albergo Canadian. “E pensare – dice Cristina – che prima del terremoto aveva appena aperto uno studio come psicologa e ora fa supplenze come maestra elementare – che io avrei dovuto essere a casa mia già dall’estate scorsa”.

La terra continua a tremare, non ha mai smesso, raccontano tutti. La paura non si arresta. “Non sappiamo ancora – dice Maria Rita – se la nostra casa, classificata E, si dovrà abbattere o potrà essere riparata. Ogni giorno in più qui ti fa mancare l’aria perché, anche se siamo trattati come in famiglia, il nostro è un raduno permanente di terremotati che non parlano d’altro che di scosse.

Anche il lavoro stenta a ripartire. Fabiana prima del 6 aprile aveva un negozio di parrucchiera, da dicembre è riuscita ad aprire un nuovo locale, il “Milani Style”. “Affitto tre volte più caro di prima – racconta – mutuo in banca ed eccomi qui. L’Aquila non è più quella di prima, tanti se ne sono andati in altre città. Anche tante mie clienti sono partite. Gli altri anni, a marzo, avevo almeno una decina di spose prenotate per le acconciature. Quest’anno nemmeno una. Forse non si sposano più, forse non hanno soldi da spendere. I debiti spaventano ma che potevo fare? Stare a casa a piangermi addosso? Io ci provo”.

C’è posto solo per la malinconia nei loro racconti: “Mi vengono in mente i primi giorni. I soccorsi furono splendidi – spiega Maria Rita – arrivavano i volontari, veniva annunciato il G8. Si faceva capire che la macchina era in moto e che tutto sarebbe stato risolto. Poi, piano piano, ti accorgi che si sono dimenticati di te. Inaugurano le nuove case e non c’è posto. Aprono i Map nelle frazioni e non ti chiamano. E poi arrivano le notizie che ti spezzano. Mio marito vede una finestra rotta a casa nostra, va a vedere e scopre che ci hanno rubato tutto. I corredi nuziali di mia madre e di mia nonna, gli abitini di battesimo delle nipotine, le coperte. Insomma, tutta la tua storia, i tuoi affetti, i tuoi odori”.

“Siamo così inutili che per noi non si trova un pezzo di casa. Devono darla ai giovani, a chi commercia, a chi ha un’impresa. Quando raccontavo le favole alle mie nipotine, il finale era sempre uguale: e tutti vissero felici e contenti. Noi adesso viviamo e basta”.