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La Coppa Italia mettila nel c… Tifosi passano striscione, pullman giocatori Milan espone

di Lucio Fero |24 Maggio 2022 9:06

La Coppa Italia mettila nel c... Tifosi passano striscione, pullman giocatori Milan espone

Far festa senza sballare che festa è? Alla regola dello sballo obbedisce anche la festa del Milan, dei tifosi, dei giocatori, della gente in piazza del Milan e dei calciatori sul pullman del Milan. E nello sballo ci sta, eccome se ci sta, nelle notti della movida la bottiglia rotta sul portone altrui o il bagnare le mura altrui di vomito e di urina. L’equivalente è apparso nello sballo scudetto del Milan: dai tifosi che lo avevano concepito e preparato come consono alla festa uno striscione passato dalla folla al pullman. Lo striscione recita: “La Coppa Italia mettila nel culo”. Elegante, esaustivo, a misura di comun sentire. Quale sentire? Comune a chi?

Pensiero ultra, pensiero tifoso, pensiero calcio?

Quale, di chi il comune sentire che porta a sentire brillante e appropriata la sodomizzazione figurata dell’avversario come suprema gioia e grido di festa? Di certo il pensare e agire che possiamo chiamare ultra. Pensiero e cultura totalizzanti rispetto alla platea ultra. Nell’ambito ultra, curve e tifo cosiddetto organizzato, a pensarla così non sono quattro gatti o punte estremiste. Il pensare ultra e comportarsi di conseguenza è valore condiviso. Prevede e contempla, tra l’altro, il disprezzo per l’altro. Disprezzo che viene coltivato in tutte le sue forme. Non è un caso la circostanza fissa per cui le Curve da stadio in senso materiale e figurato siano i luoghi fisici e sociali più razzisti del paese (non solo del nostro paese). L’altro va annichilito, deriso, annullato…la sodomizzazione dell’altro è l’acme della missione ultra. 

Ma sono solo gli ultra, i tifosi sono altra cosa

Sicuri? Dipende da cosa si intende per tifosi. Il tifoso militante e praticante, quello per capirci che va alla festa in piazza per lo scudetto, quindi la normale gente tifosa sconfina spesso e volentieri nel pensare e agire ultra. Tanto spesso e volentieri da condividere, giustificare, ammiccare al valore ultra, alla scala di valori ultra. Perché è dai campetti e dalle scuole calcio, dai genitori e dai mini mister dei bambini e ragazzini, dalle società di calcio che mandano i loro uomini a fa da scout, dagli spogliatoi del calcetto fino a quelli del calcio professionista, dai giocatori immaginari, dai calciatori fatti, dai cronisti e intervistatori, dalla stampa sportiva e dalle tv che sono e vivono il calcio e di calcio che…Che promana la stessa cultura. Non quella degli uomini duri e testardi nel vincere, non quella della lotta. Ma quella dell’altro fa schifo, l’altro è meno umano di te, la lotta e la vittoria sono piene e di vera soddisfazione quando l’altro la prende nel c…

La naturalezza del passaggio

Per il dominio di questa cultura condivisa lo striscione (rivolto all’Inter) passa con assoluta naturalezza dalle mani ultra che l’hanno fabbricato alle braccia tifose che l’hanno innalzato fino ancora alle mani dei giocatori che l’hanno accolto, issato sul pullman, mostrato alle genti, sentito come proprio e appropriato. non c’è imbarazzo, non c’è esitazione. C’è ottima e buona fede, i giocatori naturalmente condividono. Oggi quelli del Milan, domani quelli di altre squadre. Ed è la naturalezza, l’ovvietà del condividere la festa con sballo il segno, la notizia, il problema. Non è una questione di turpiloquio o di volgarità, non è un episodio di mala educazione. E’ una manifestazione più visibile delle altre di ricorrente e montante e quasi dominante maleducazione civile. Della quale il calcio si fregia. Mica solo lo striscione la Coppa mettila nel…

Lo steward all’Olimpico

Stadio Olimpico, gioca la Lazio. In Curva individuano più che un bersaglio, quella che ritengono un’anomalia: uno steward ha la pelle nera sotto la pettorina gialla. Quindi deve essere insultato. Ma insultato non basta. Deve essere cacciato, sottratto alla loro vista. Sono ultra, sono tifosi? Sono tutte e due le cose insieme e sono soprattutto lì da anni e anni, sono lì sempre. In spirito e in carne, lo stadio (ma anche le radio e quando capita le piazze) sono il loro palcoscenico e la loro palestra del peggior razzismo, la peggior violenza, la peggio inciviltà. Ma sono anni, decenni, che il calcio non riesce a rimuoverli da sé. Il calcio che finge sia un problema piccolo e di polizia mentre invece è qualcosa di grande e incistato nella cultura che avvolge l’ideologia sociale che si coagula intorno al calcio.

L’appello alla piazza ad Avellino

L’hanno inseguito macchina ad inseguire macchina, l’hanno raggiunto, l’hanno fatto spogliare della tuta sociale, l’hanno condannato alla degradazione, al togliersela perché “non ne era degno”. Rispondevano all’appello della dirigenza della squadra, “appello alla piazza” contro squadra “con la pancia piena”.  Son solo esempi, fatti analoghi si riscontrano lungo tutti i Campionati e lungo tutta la penisola: lo striscione di Milano, il ku klux klan onorario nella Curva laziale, la spedizione punitiva dei “bravi” dell’Avellino giocano nello stesso campo.

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