La sentenza che smonta la trattativa Stato-mafia

di Redazione Blitz
Pubblicato il 15 Ottobre 2013 - 10:27 OLTRE 6 MESI FA
La sentenza che smonta la trattativa Stato-mafia

Giorgio Napolitano (Foto LaPresse)

ROMA – Mario Mori e Mauro Obinu sono stati assolti in primo grado nel processo presso il tribunale di Palermo. Un’assoluzione che smonta la tesi della trattativa tra Stato e mafia che vede il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano tra i testimoni, con il pm di Palermo che continua a chiedere una sua deposizione.

Mori e Obinu sono gli ex responsabili del Ros che sono stati assolti dall’accusa di non aver voluto catturare Bernardo Provenzano nel 1995. Assoluzioni che, scrive il Corriere della Sera,

“rappresentano una forte ipotetica sul processo-gemello, quello per la presunta trattativa fra lo Stato e la mafia nella stagione delle stragi. Perché secondo i pubblici ministeri (gli stessi nei due dibattimenti) l’ipotetico favoreggiamento del latitante «storico» di Cosa nostra fu consumato proprio in ossequio alla trattativa. Secondo i giudici, invece, il favoreggiamento non ci fu, e nemmeno la trattativa è così sicura. Anzi. Talvolta appare «immaginale», ma mai «sufficientemente provata».

“Spesso incerto, talora confuso ed anche contraddittorio”, questa la descrizione del quadro probatorio che per la sentenza presenta dubbi e perplessità, scrive il Corriere della Sera:

“Ad esempio: l’arresto di Salvatore Riina operato dallo stesso Ros il 15 gennaio 1993, che per l’accusa fu un primo frutto del «patto occulto» siglato con Provenzano, per i giudici «ha costituito una svolta che ha restituito fiducia e slancio all’azione di contrasto all’associazione mafiosa, che da lì in poi ha conosciuto una ragguardevole continuità».

E ancora:

“la storia dei 300 e passa decreti di «carcere duro» revocati dall’ex ministro della Giustizia Conso nell’autunno ‘93 — altra conseguenza della trattativa, nella ricostruzione dei pm — saranno pure stati «un segnale di distensione» , che però sembra «eccessivamente enfatizzato dall’accusa»; avvenne «per cercare di evitare i colpi di un terrorismo mafioso che sembrava in quel momento incontrollabile», e in ogni caso «non vi è prova della presunta trattativa che avrebbe condotto al cedimento del ministro Conso»”.

Dopo 20 anni, secondo la sentenza del tribunale vi sono elementi che vanno considerati con il giusto peso oppure

«rischia di essere fuorviante e di fare apparire, attraverso facili dietrologie e impropri richiami moralistici, complicità e connivenze gli sforzi di chi magari cercava in quei difficili momenti di evitare eventi sanguinosi in attesa di tempi migliori. I giudici si spingono fino a rendere omaggio agli ufficiali che «portarono a termine la cattura del Riina», mentre avanzano ombre pesanti sui testimoni dei pm. In particolare Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso Vito (a sua volta «personaggio quanto mai inquietante e tutt’altro che trasparente»), rivelatosi tutt’altro che attendibile, vittima di una «narcisistica propensione ad affermazioni eclatanti che gli facessero guadagnare la ribalta mediatica» e guidato dal «velleitario tentativo di conquistare con gli inquirenti una posizione di forza che preservasse il patrimonio illecitamente accumulato dal padre»”.

Per la posizione di Nicola Mancino, ex ministro imputato per falsa testimonianza, non vi sarebbero riscontri di una trattativa. Solo ipotesi, spiega il Corriere della Sera:

“E che Paolo Borsellino sia stato ucciso perché aveva saputo della trattativa e s’era opposto, «è frutto di una mera ipotesi che potrebbe essere plausibile, ma non trova supporto probatorio in nessun sicuro elemento»”.

Alcuni aspetti del mancato arresto sono opachi, spiega la sentenza,

“ma il patto Provenzano non è provato. E resta un altro processo basato su elementi quasi identici, appena cominciato, che da ieri è diventato un po’ più difficile per l’accusa”.