La storia di una ragazza in fuga dal velo, dal “padre cattivo” e dal matrimonio combinato

Pubblicato il 17 Dicembre 2009 - 14:27 OLTRE 6 MESI FA

Il padre la obbligava ad indossare il velo islamico, impedendole anche di uscire con le amiche e di guardare la tv. La accusava inoltre di essere una “catti­va musulmana” e, in caso di di­sobbedienza, minacciava di ri­portarla in Marocco dove le avrebbe fatto sposare con la forza un uomo di 60 anni.

La ragazza però, nata e cresciuta a Prato assieme ai suoi tre fratelli, vole­va vivere e vestire come le      com­pagne di classe. Così, agli inizi del 2008, di fronte all’ennesima sfuriata del padre, che aveva scoperto sul suo telefonino una foto senza il velo islamico, ha de­ciso di scappare di casa e rifugiar­si da un’amica.

Oggi la ragazza è maggiorenne ma ha an­cora paura del padre, che è finito sotto processo con l’accusa di continui maltrattamenti. Secondo il     rac­conto della giovane, il genitore sarebbe andato su tutte le furie e l’avrebbe picchiata pesantemente dopo aver vi­sto una sua foto col viso scoper­to e i capelli sciolti.

A denunciare Mohamed, il padre “cattivo”, il 12 febbraio del 2008, non è stata la ragazza, fuggita di casa pochi giorni prima, ma Luigi Nespoli, preside del liceo classico Cicognini di Prato, che martedì scorso è stato anche chiamato a testi­moniare davanti al giudice Ales­sandro Moneti. Nespoli aveva già presentato un esposto alla magistratura nel 2007, dopo che la ragazza aveva chiesto di essere esonerata tem­poraneamente dalle lezioni di educazione fisica per problemi respiratori, in quanto il fratellino le aveva dato un forte colpo al petto.

Una giustificazione alla quale il preside del Cicognini non aveva creduto. «Ho immagi­nato – racconta il preside – che l’alunna potesse essere stata picchiata dal padre e mi sono attivato presso la procura affinché fosse verifica­ta la situazione familiare. Sapevo che il genitore la obbligava ad   an­dare a pregare in moschea e le proibiva ogni svago, me lo disse lei stessa il primo anno di ginna­sio, comunicandomi di non po­ter partecipare alla gita scolasti­ca perché il padre non la autoriz­zava. Così decisi di scrivere alla famiglia per spiegare che la gita faceva parte del programma     di­dattico».

«Se mi fossi reso conto che la ragazza tollerava il velo imposto dal padre – aggiunge Nespoli – non sarei intervenuto. Ma lei da­va crescenti segni di disagio. Quando potevo e se rientrava nel mio ruolo educativo, cercavo di intercedere con la famiglia».

La fuga della ragazza ad ogni modo durò poco: per alcune settimane è sta­ta ospitata da un’amica, poi, quando Nespoli ha avvertito i ser­vizi sociali, la figlia maltrattata ha raccontato la sua storia, la paura del padre violento e, più di tutti, il terrore di un matri­monio imposto come punizione per rieducarla alla religione musulmana. In seguito per lei si sono aperte le porte di una casa protet­ta dell’Istituto Santa Rita, che a Prato ospita circa 120 ragazzi con situazioni di disagio familia­re.

Nel frattempo il padre, che a gennaio sarà sentito dal giudi­ce Moneti, avrebbe assicurato al­la figlia che non la costringerà più a portare il velo se torna a casa. Ma la ragazza ha paura e vuole tenere lontano l’incubo di un ma­trimonio indesiderato.