“Bocci mio figlio”, la lettera della prof era una bufala per giornalisti

di Elisa D'Alto
Pubblicato il 28 Giugno 2013 - 10:08 OLTRE 6 MESI FA

"Bocci mio figlio", la lettera della prof era una bufala per giornalisti  ROMA – “La maturità non vale una pizza”, scriveva ieri Massimo Gramellini nella sua rubrica quotidiana su La Stampa. Commosso lui, ma anche un nutrito gruppo di redattori (anche Blitz), che ieri davano appunto grande risalto alla storia della prof romana che aveva inviato ad alcuni quotidiani un’accorata lettera. Talmente commossi, giornalisti e lettori, che non abbiamo còlto la bufala.

Sì perché di bufala si trattava. Nella lettera la prof raccontava del papà di un suo alunno che le aveva chiesto di bocciare il figlio alla maturità. Motivo? Il datore di lavoro del ragazzo, cameriere in una pizzeria, gli aveva proposto l’assunzione dopo aver saputo degli sgravi del decreto lavoro per i giovani senza diploma. Morale: col diploma il ragazzo avrebbe avuto sì il pezzo di carta ma non il lavoro. Conclusione di questo padre, meglio il contratto della maturità: lo bocci pure, prof, alla scuola ci si pensa il prossimo anno. Così, scriveva la prof nella sua lettera, il papà chiedeva.

Ma la vicenda era tutta costruita. Venerdì mattina Gramellini, uno dei “gabbati”, pubblica una lettera (un’altra…) arrivata da un’agenzia di comunicazione:

«Ciao, la lettera sul pizzaiolo costretto a scegliere fra posto fisso e diploma di maturità (pubblicata da alcuni giornali e da cui è stato tratto il Buongiorno di ieri, ndr) non è stata una professoressa a scriverla. E’ opera della nostra agenzia. Abbiamo confezionato una storia da dare in pasto ai media, creato un indirizzo di posta ad hoc e inviato la mail ai tre principali quotidiani italiani con preghiera di non pubblicare il nome dell’autrice. Era l’unico modo per sollevare una riflessione sull’assenza di politiche economiche del governo. Sono certa che Gramellini saprà cogliere il senso di questa operazione che non è pubblicitaria, ma è una denuncia della situazione in cui versano le microimprese come la nostra». Chiara Ioele (Kook Artgency).

“Beata ingenuità”, titola stavolta Gramellini. Eppure qualche dubbio la lettera lo sollevava, per lo meno nelle tempistiche. Il decreto lavoro è stato licenziato dal governo mercoledì mattina. In poche ore il datore di lavoro del pizzaiolo avrebbe dovuto leggere il decreto, fare la proposta di assunzione al giovane, il quale a sua volta avrebbe dato la notizia al padre, che si sarebbe macerato nei dubbi il tempo di qualche minuto per poi alzare la cornetta e fare la proposta shock alla prof del figlio: bocci il ragazzo perché mantenga i requisiti richiesti dal decreto per l’assunzione. A quel punto la prof, maceratasi anch’essa nei dubbi lo spazio di qualche secondo, avrebbe preso carta e penna, o forse solo acceso il pc, e scritto una lettera ai maggiori quotidiani, i quali l’hanno pubblicata nell’edizione in edicola giovedì mattina. Davvero troppe azioni concentrate nell’arco di quanto? Otto, dieci ore?

Beata ingenuità, allora, in primis di noi giornalisti che, pur avendo il dubbio di una storia poco genuina, abbiamo peccato e pubblicato senza filtri. Ma peccato non solo di ingenuità, concederà Gramellini, ma anche di scarsa capacità di critica e sì, anche di carenza di quel filo di malizia che troppo spesso viene contestato alla categoria ma che se ben usato salva i giornali (e i lettori) dalle candide bufale confezionate ad arte dalla creativa di un’agenzia di comunicazione.